Uno dei partecipanti alla recente esperienza dei giovani preti ambrosiani nel Paese nordafricano racconta l’incontro con la realtà cattolica locale, «insignificante» per consistenza, ma «significativa» per i valori che testimonia e vive quotidianamente
di Davide
BRAMBILLA
Che cosa ci fa una Cattedrale cattolica nel centro della capitale di uno Stato nel quale il 98,9% della popolazione è musulmana e i cristiani rappresentano meno dello 0,1%? Semplice. Circa cent’anni fa una famiglia di religione islamica, proprietaria di quel terreno, lo donò alla Chiesa cattolica dicendo con chiarezza: «Preferiamo che qui ci siano dei cristiani che pregano, piuttosto che dei musulmani che non pregano».
Queste parole, riportateci dall’Arcivescovo di Rabat, cardinale Cristóbal López Romero, hanno segnato l’inizio del nostro pellegrinaggio in Marocco, svoltosi dal 13 al 17 febbraio. Dopo la prima notte a Casablanca (dove siamo atterrati), abbiamo visitato la capitale e, nella Cattedrale di Saint Pierre, abbiamo incontrato l’Arcivescovo di una delle due diocesi marocchine – l’altra è Tangeri -, che annovera 30 mila cristiani cattolici su una popolazione di 30.858.500 abitanti.
Eppure – come più volte ribadito dal Cardinale e dai diversi presbiteri, religiose e laici incontrati durante la settimana – sebbene quella marocchina sia una Chiesa «insignificante» numericamente parlando, è «significativa», ovverosia rappresenta un segno efficace dell’amore gratuito di Dio verso questo popolo. E la presenza di quella Cattedrale in centro città, “donata” proprio da una famiglia musulmana, ne è uno dei segni più eloquenti.
Qualcosa da dire al mondo
Nei giorni di pellegrinaggio, vissuti all’insegna della fraternità con gli altri presbiteri presenti, con il nostro Arcivescovo e il gruppo dei Vicari episcopali al gran completo, ho davvero percepito la freschezza di una Chiesa che semplicemente c’è e vuole esserci, di una Chiesa fresca e vivace, di una Chiesa in dialogo e in uscita, di una Chiesa ecumenica, ove non è insolito che nella medesima struttura si celebri al mattino l’Eucaristia cattolica e al pomeriggio il culto anglicano, di una vera e propria Chiesa dalle genti poiché popolata pressoché unicamente da studenti dell’Africa subsahariana. Ma tutti questi aggettivi ed espressioni sono per lo più accessori. In questi giorni ho respirato e visto con i miei occhi la Chiesa. Punto. Perché così è stata fondata da Cristo e così la desidera per tutti noi, capace di stare lì dove è chiamata a esserci perché ha qualcosa da dire al mondo intero.
I testimoni
Le figure di San Charles de Foucauld e dei Beati martiri monaci di Tibherine – che ci hanno accompagnato specialmente negli ultimi due giorni più propriamente “spirituali” – ne sono un chiarissimo esempio. Difatti, a sorprendermi ancora una volta è l’amore che per questi testimoni autentici del Vangelo hanno provato e provano ancora quanti non si riconoscono nella fede cristiana, eppure hanno scorto qualcosa (o forse Qualcuno) in loro e nella loro opera.
Sui monti dell’Atlas abbiamo fatto visita ai monaci cistercensi della Trappa di Notre Dame, che qui hanno trovato posto dopo i tragici fatti di Tibherine; fino alla morte, avvenuta nel novembre 2021 a 97 anni, qui è vissuto frère Jean-Pierre Schumacher, ultimo dei due sopravvissuti alla strage che nel marzo 1996 vide sette dei suoi confratelli rapiti e poi uccisi da un commando terrorista algerino. La sua presenza e la sua testimonianza è viva negli attuali monaci (attualmente 7) che abitano la Trappa, ed è stata a noi trasmessa con passione e vivida commozione.
A conclusione di questo pellegrinaggio – il quinto per me, che mi trovo a metà del primo decennio di ordinazione – non posso che confermare la felice intuizione della Formazione permanente del Clero di condurci in luoghi così diversi per incontrare e conoscere le Chiese locali, vivere le relazioni fra noi con amicizia e condivisione e, soprattutto, per essere incoraggiati nella fede e nel ministero pastorale da chi, tra ieri e oggi, non smette di essere volto autentico e gioioso della Chiesa di Cristo, per quanto «insignificante» possa mai essere.
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