Don Emilio Gnani, responsabile dell’équipe di Consulenza psicologica del Seminario, illustra il servizio che questa struttura offre ai seminaristi, soprattutto sul fronte del discernimento vocazionale
di Luisa
BOVE
La Diocesi di Milano, che domenica 16 settembre celebra la Giornata per il Seminario sul tema «Per Chi vivi?», conta ancora un buon numero di giovani che chiedono di iniziare un cammino di discernimento sulla scelta di diventare preti. Dal 1998, per intuizione del cardinale Martini e dell’allora Rettore maggiore monsignor Poma, fu istituita l’équipe di Consulenza psicologica del Seminario. Ne parliamo con il responsabile, don Emilio Gnani, per capire come questo servizio si inserisca nel cammino di formazione al sacerdozio.
Quali aspetti tocca il discernimento vocazionale?
Tocca tutti gli ambiti della vita di un giovane: la vita spirituale, la conoscenza di sé, la rivisitazione della propria storia familiare e personale, lo stile relazionale, la capacità di amare nella forma del celibato, il desiderio di conoscere e di approfondire la realtà, l’esercizio della volontà. In tutti questi ambiti non esiste la perfezione, ma il desiderio di crescere e di tendere al meglio, per poter corrispondere alla volontà del Signore nella propria vita, con passi concreti e graduali di conversione e di libertà.
Rispetto a un percorso di accompagnamento psicologico, c’è disponibilità da parte dei candidati o diffidenza?
Abbiamo sempre creduto nell’opportunità di non rendere obbligatoria l’adesione alla consulenza psicologica: è un servizio che il Seminario propone a tutti i seminaristi, ma che non avrebbe senso imporre. Tale scelta ha favorito la libertà delle persone e una progressiva consapevolezza circa la positività di questa possibilità. Alcuni seminaristi vi aderiscono in modo convinto, altri vi accedono perché hanno riscontrato un esito positivo nei loro compagni. Se adeguatamente inteso, un percorso psicologico può favorire una crescita di autenticità circa le motivazioni vocazionali e un cammino di integrazione tra la vita spirituale e l’umanità del giovane che vuole diventare prete.
Il fatto che i seminaristi presentino all’ingresso età diverse, quali ricadute ha avuto nel discernimento?
Il Signore chiama nelle diverse età della vita. Ogni età presenta le sue caratteristiche, che vanno accolte e riconosciute per evitare che i cammini formativi siano pensati a priori rispetto al vissuto dei giovani di oggi. Quando una vocazione è vera, opera sempre grandi cambiamenti nella vita delle persone, che abbiano 20 anni, 25, 30 o 35… Sarebbe problematico se una persona entrasse in Seminario convinta di sapere tutto e senza avvertire la necessità di mettersi in discussione.
In realtà il cammino formativo continua per tutto il periodo fino all’ordinazione sacerdotale e anche oltre…
Sarebbe un’illusione credere che il cammino formativo si concluda con il periodo del Seminario: la vita rimane l’esperienza formativa per eccellenza, e noi dobbiamo aiutare i giovani a porsi in ascolto della loro vita, per imparare a riconoscere le domande più importanti e a cercare le risposte alla luce della Parola di Dio. Nel cammino seminaristico e nella vita presbiterale è importante che ognuno abbia dei riferimenti personali con cui tenere aperto un confronto, per non camminare da solo e continuare a rimanere in un atteggiamento di docilità e di consegna di sé.