Su piattaforma si è svolto il Convegno Mondialità 2021, intitolato «Fratelli tutti? I Movimenti popolari, pensare e agire come comunità». Aperto e concluso dall'Arcivescovo, l'incontro ha visto la relazione centrale del cardinale Tagle e una Tavola Rotonda a più voci con collegamenti da diversi Paesi del mondo

di Annamaria BRACCINI

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Il cardinale Tagle

Soci o fratelli? Amici o nemici? Un Paese giovane o in declino, spento o ardente?

Sono tanti i punti interrogativi – a partire da quello nel titolo “Fratelli tutti? I Movimenti popolari, pensare e agire come comunità” – che domandano risposta. Il Convegno della Mondialità 2021, giunto alla 20esima edizione (in verità il primo fu nel 1997, ma, allora, organizzato solo da Caritas ambrosiana), promosso, come ormai tradizione, dall’Ufficio della Diocesi per la Pastorale Missionaria, da quello per i Migranti e da Caritas, è questo.
Un dialogo, a più qualificatissime voci, sul mondo, le sue speranze, le sue diseguaglianze e ingiustizie a cui i Movimenti popolari hanno cercato e continuano a cercare di mettere mano. E tutto declinato secondo la logica e le indicazioni dell’ultima Enciclica di papa Francesco, appunto, “Fratelli Tutti”, in cui si parla tanto – non a caso – proprio dei Movimenti popolari di base.
Modera l’incontro, rigorosamente su piattaforma, con collegamenti da diverse parti del mondo, Stefano Femminis, responsabile dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Milano che introduce, anzitutto, il saluto dell’Arcivescovo che, sottolineando il punto di domanda iniziale, dice: «Siamo chiamati ad affrontare questioni che riguardano noi, la Chiesa e il Paese. Siamo una Chiesa o un Paese vivo, che si lascia provocare dal mondo, o in declino? Un Paese giovane è quello che si incanta per le scoperte. Che Chiesa vogliamo essere? Un Paese spento e insensibile al dolore, alla povertà, al degrado in cui si respira l’indifferenza, o, invece, uno vivo quando percorre le strade del mondo e si prende cura, provando compassione. Spento o ardente?».

Poi, la relazione centrale della mattinata affidata al cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli dal 2019.  

L’intervento del cardinale Tagle

Dall’ispirazione francescana della “Fratelli Tutti”, all’essenziale richiamo alle due precedenti Encicliche di Bergoglio, tre sono i punti toccati dal Cardinale. In primis, mettersi in contatto con la realtà. «La pandemia da Covid ha mostrato l’aggravarsi di una serie di debolezze sociali, culturali, economiche e politiche largamente ignorate, ma che esistevano già da molto tempo, sia nei nostri Paesi che nelle relazioni internazionali.
L’indifferenza dei vicini e il cattivo uso della creazione sono interdipendenti e si rinforzano ogni giorno. Mentre i disastri ambientali provocano conseguenze su tutte le persone che vivono in un certo luogo, i poveri sono più devastati degli altri. Questo mostra che una conversione all’amicizia sociale e una conversione ecologica non sono automatiche».
Una noncuranza per i poveri, frutto, molte volte secondo Tagle, «di centri di potere ubicati lontani da loro. Gli incontri personali con una terra ferita e con un povero ferito che porta su di sé le ferite della terra, sono necessari nell’inculcare la cura della creazione e l’amicizia sociale. Questa è una componente essenziale di una Chiesa in uscita – Chiesa missionaria -, come desidera Papa Francesco».
Il riferimento del Porporato è alla sua esperienza personale. «Mentre guardavo e restavo senza parole davanti a case, edifici e chiese distrutte, il mio cuore sanguinava nel vedere corpi non sepolti nelle strade, madri in lutto, padri disperati, bambini affamati.
I campi profughi mi hanno offerto immagini, odori e suoni di un’umanità sofferente, che scappa dai disastri ambientali, dalla povertà e dalla violenza. Questi incontri sono stati un’occasione di formazione per un cambiamento di mentalità e di priorità. Credo che i movimenti popolari possano fornire informazioni che vengono dagli incontri con le persone e le loro condizioni di vita».
Secondo punto: «la conversione alla giustizia», di uomini e donne che non costruiscono e non fanno di loro stessi degli idoli, magari con il nuovo vitello d’oro che è, come dice il Papa in “Evangelii Gaudium”, «il feticismo del denaro e la dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano per cui gli esclusi non sono sfruttati ma rifiuti, avanzi».

«L’ingiustizia avviene quando iniziamo a chiudere noi stessi nei confronti degli altri. Per la nostra autodifesa e la promozione dei nostri interessi, possiamo giungere a distruggere la creazione, mentre la giustizia fiorisce dove l’amore si apre a tutti. L’amore, l’amicizia sociale è nutrita non da idee – o, peggio, ideologie -, ma da incontri con persone reali, specialmente i poveri, gli esclusi, i vulnerabili».

Infine, la costruzione della pace. «Il Papa parla di “una guerra mondiale a pezzi”. «I conflitti armati sono radicati e propagati da menzogne, ingiustizia e vendetta. E’ triste notare come, in certi casi, la religione sia invocata come giustificazione per iniziare e spargere violenza. Credo – sottolinea il Cardinale – che sia importante riflettere su ciò che papa Francesco chiama “una memoria penitenziale” come cammino verso la pace, la verità, la giustizia, il perdono che «non significa permettere alla falsità e all’ingiustizia di prosperare». Ancora il ricordo si fa personale.
«Nelle mie visite in Siria, Libano, Nagasaki, Hiroshima, Saigon, Cambogia, ho capito che le guerre hanno origine dalla decisione di smettere di trattare le altre persone come fratelli e sorelle. Le guerre vengono dalla decisione di dominare sugli altri, anche a costo di distruggere la creazione, le culture e le civiltà. E’ importante entrare nelle ferite e nelle memorie causate dalla guerra, gemere con gli esseri umani e la creazione, domandare perdono, lavorare per la pace, costruirsi l’un l’altro, costruire un futuro insieme per la nostra comune famiglia umana e per la nostra casa comune. Questo è il sogno di Papa Francesco, espresso con forza in “Evangelii Gaudium”. Preghiamo perché questo sogno sia una realtà fin d’ora».

Le testimonianze

Dall’Algeria, con l’esempio virtuoso del movimento pacifico di protesta di base che impedì il V mandato presidenziale di Abdelaziz Bouteflika, con lo slogan “una nuova repubblica, una nuova costituzione”, narrato dall’avvocatessa Nadia Ait Zai, presidente del Centro Informazione e Documentazione sui Diritti delle Donne e dei Bambini, si va a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo. Il sacerdote ambrosiano Fidei donum, don Maurizio Canclini, padre Stefano Huard, della Comunità “Chemin Neuf”, e tre giovani studenti di fede cattolica, espressione di movimenti popolari che lottano per mantenere i valori della Repubblica, del bene comune, per la sostenibilità del Congo e per la promozione di una politica nella logica del V capitolo di “Fratelli Tutti”, raccontano la realtà.
«In una situazione, comunque, drammatica – la crisi della regione del Kivu, a est del Paese, nel silenzio più totale del mondo, ha già fatto 4 mln di morti – il movimento di protesta contro Maurice Kabila che ha portato, nel 2018, a nuove elezioni ha dato speranza», viene detto.
Chiara Zappa giornalista di “Mondo è Missione” si collega dalla Turchia per parlare degli universitari che, da più di un mese, sono mobilitati in difesa della democrazia, dopo la nomina di un fedelissimo del presidente Erdogan a rettore dell’Università di Smirne.
«Decine di giornalisti in carcere, 170 testate chiuse dal 2016, in un anno 100 persone al giorno sotto processo per insulti al presidente, 100 Atenei chiusi, interi Dipartimenti epurati: milioni di cittadini non ci stanno e le Università rappresentano un luogo privilegiato della società civile. In questo contesto le minoranze, che hanno più da perdere, si mobilitano». Da qui l’attivismo dei cristiani e di minoranze islamiche come gli Aleviti.
Padre Gianni Criveller, da 30 anni in Cina, affronta la questione della rivolta di Hong Kong: «un movimento popolare come quello che papa Francesco descrive nella sua Enciclica, che, per molte domeniche, ha portato in piazza 2 milioni di persone su 7 milioni di abitanti»
Il movimento popolare di HK è un segno di speranza anche per la Cina e il sud-est asiatico, basti pensare al Myamnar, oggi», aggiunge il missionario del Pime che evidenzia il valore della formazione cattolica, nelle scuole e nelle parrocchie, di tanti esponenti di questi movimenti, molti dei quali agli arresti. L’invito è a non dimenticare Hong Kong, la sua gente e la sua Chiesa perché «anche se ora il Movimento è soppresso, non è morto».
Massimo De Giuseppe, docente di Storia Contemporanea allo Iulm ed esperto di America Latina si sofferma sulle Comunità ecclesiali di base in El Salvador. «Un fenomeno che nasce in epoca conciliare, su radici indoamericane antichissime».
«Negli anni ’70 queste Comunità iniziano a elaborare una propria idea di fratellanza peculiare e ricca di una presenza femminile impressionante. In questo, il ruolo pastorale di monsignor Oscar Romero fu molto importante. E anche se, dopo la sua morte, la guerra civile fa almeno 85.000 vittime – moltissime le catechiste di origine popolare che vengono uccise – le Comunità di base continuano a lavorare. Forse, oggi, la Chiesa milanese potrebbe riallacciare ponti che pure già esistono».

A conclusione, si fa evidente la fondamentale importanza delle esperienze vissute “sul campo”, nel richiamo specifico a “Fratelli Tutti”. Come quelle del cardinale Tagle che, giovane seminarista durante la dittatura, si impegnò, nelle natie Filippine, in un movimento popolare. «Ricordo le canzoni: occorre cantare ogni giorno un sogno, una visione della vita per la patria. Da giovane prete ho lavorato nelle piccole comunità cristiane nutrite dalla preghiera comune, dalla riflessione sulla Parola di Dio coniugata con la la sfida della vita quotidiana. Così si è formata la coscienza sociale e individuale nella Chiesa. Ho imparato che un movimento popolare diventa umano e sociale se promuove l’interesse comune, il bene del Paese. La gente ricorda più le canzoni che le elezioni».
Così anche in Turchia, secondo Chiara Zappa, le parole del Papa sui movimenti popolari animano lo spirito degli esponenti turchi. “Poeti sociali”, come scrive Francesco nell’Enciclica che, come strumento, usano la riconciliazione».
Da parte sua, padre Criveller augura che il Santo Padre «si riconosca nella lotta del popolo di Hong Kong. Il legame con l’Enciclica è questo valore popolare del movimento – ora passato un poco in secondo piano – ma che va riconosciuto».
«L’apertura e l’amore politico di cui parla Francesco si sono incarnati in tante esperienze, anche tragiche, della Chiesa salvadoregna. Bisogna vivere il rapporto storia-memoria, cercando dei percorsi di convivenza e di ricostruzione del tessuto sociale», per De Giuseppe.

Chiude i lavori l’Arcivescovo che scandisce: «Il segno per illuminare il cammino di un popolo è la fiducia anche in un piccolo seme, nel gesto minimo e personale. In questo c’è – come dice il Papa – una speranza per il futuro e una gentilezza come stile. E adesso cosa fari tu?».

Come a dire: tocca a noi, tutti insieme.

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