Com’è tradizione, la celebrazione dei Vespri è stata preceduti dall’incontro augurale tra l’Arcivescovo e le Comunità etniche presenti in Diocesi. «Tutti devono contribuire a costruire la Chiesa di domani», ha detto Delpini
di Annamaria
BRACCINI
Nel 60esimo anniversario dell’appuntamento che, attraverso i decenni alla Vigilia della Festa liturgica di Sant’Ambrogio, ha fatto incontrare milanesi di antica data, nuovi arrivati in città e l’Arcivescovo, si rinnova l’amata tradizione, ovviamente, con i mutamenti che la contemporaneità impone. Allora, i “nuovi”, erano coloro che giungevano con le prime grandi ondate migratorie dal sud del Paese, oggi, sono persone venute da ogni parte del mondo. Così dice, aprendo l’incontro, l’abate della Basilica di Sant’Ambrogio, monsignor Carlo Faccendini, salutando «con rispetto e simpatia», i più di 100 fedeli di una ventina di diverse Comunità straniere che, con i loro Cappellani, incontrano l’Arcivescovo poco prima dell’inizio della Celebrazione dei Vesperi.
Don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, richiama l’attesa che ormai circonda questo momento presso le Cappellanie. «Abbiamo due motivi particolari per ringraziare quest’anno: per il Sinodo minore Chiesa dalle Genti, il cui primo frutto è stata la percezione di sentirci tutti accolti da questa Chiesa, e per la nomina del vicario episcopale di Settore, don Mario Antonelli», anche lui presente.
Della «gioia nell’incontrarsi con le diversità che portate e la ricchezza delle vostre tradizioni, lingue e fede», parla il vescovo Mario, rivolgendosi direttamente ai partecipanti.
«Vogliamo porre questo incontro sotto la protezione di Ambrogio. La sua fu una personalità eccezionale, venne ascoltata dall’Oriente e dall’Occidente, allora uniti dalla stessa fede», in quanto non vi era ancora lo scisma che separa i due “polmoni della Chiesa”.
Infatti, «Ambrogio è padre della Chiesa unita e, per questo, intercede per tutti. Lui non era abituato a distinguere tra milanesi e non e anche io, che sono un suo successore, non sono abituato a distinguere tra italiani e stranieri. Vorrei esprimere questa idea – che è anche la mia mentalità – dicendo che abbiamo un solo nome comune: siamo fratelli e sorelle».
«Veniamo da culture diverse, ma ovunque il Vangelo ha trovato casa. È l’unico spirito di Dio che ci permette di riconoscerci fratelli e sorelle. Il mio augurio è che non descriviamo l’originalità del nostro Paese di provenienza dalle origini che ci hanno formato. Il cuore della cultura è guardare agli altri come fratelli e sorelle. La cultura, se è veramente tale, visitata dal Vangelo, conduce alla fraternità universale. La nostra deve essere una vocazione alla fraternità e sant’Ambrogio è punto di riferimento per mettere in luce tale aspetto».
Poi, il richiamo al Sinodo. «Tutti devono contribuire a costruire la Chiesa di domani. Dovete, dobbiamo, disegnare insieme i tratti il volto della nostra Chiesa ambrosiana e ciò vi impegna a dire quale sia il vostro contributo. Questa è la sfida: essere protagonisti di una situazione, portare la ricchezza che ciascuno ha in sé in vista di un futuro. Non diciamo “come era bello ieri, con le nostre tradizioni, ma come sarà bello domani”».