L'Arcivescovo emerito di Milano racconta il suo rapporto con papa Benedetto XVI, iniziato oltre mezzo secolo fa nella redazione della rivista «Communio». I giorni memorabili dell'Incontro mondiale delle famiglie, nel 2012, e quell'invito a portare «la responsabilità della rinascita del fatto cristiano e del senso profondo dell’Europa, proprio perché siete figli di Ambrogio, uomo ecclesiale e civile allo stesso tempo».
di Annamaria
Braccini
Un’amicizia durata più di 50 anni, dal 1971, quando lavorando al progetto della Rivista Internazionale “Communio”, il giovane sacerdote Angelo Scola conobbe Joseph Ratzinger. A farne memoria, in questi giorni di ricordo e rimpianto per la scomparsa di Benedetto XVI, è appunto il cardinale Scola, oggi arcivescovo emerito di Milano. «Per me, partecipare a un gruppo con lui, De Lubac, Balthasar e altri fu qualcosa di eccezionale. Ho scoperto, negli anni, che è stata una grande grazia, perché ho potuto avere rapporti che certamente hanno contribuito molto a costruire la mia fisionomia. In particolare, ciò che mi aveva colpito in quella compagnia era lo stile di amicizia e di convivenza tra queste grandissime personalità».
Nel suo messaggio di cordoglio ha definito il Papa emerito «un amico, ma ancor più padre». Quali sono i tratti più indimenticabili di questa amicizia?
Ratzinger era un uomo che nell’incontro, al di là della timidezza che generava una specie di soggezione, tendeva subito all’amicizia. In questi giorni il mio pensiero nei confronti di papa Benedetto, è di una infinita gratitudine, perché ha posto una fiducia grande in me, mi ha aiutato in tanti momenti, anche in qualche passaggio non facile della mia vita. Per questo non riesco a distinguere – se penso al suo sguardo -, il prete, il cardinale, il teologo e il papa. Mi sembra che la figura “padre”, senza volerne abusare, sia quella più adeguata per definire il mio rapporto con lui e spero che mi accompagni anche adesso in questo ultimo periodo della mia vita.
Lei, Eminenza, è probabilmente l’unico che ha potuto accogliere Benedetto XVI in due diverse Diocesi, nel 2011 a Venezia, di cui era allora Patriarca e, nel 2012 a Milano, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie
Sì. Sono stato molto fortunato perché ho potuto vivere a Milano anche la visita di papa Francesco. Sono stati 3 momenti pieni di gioia. In particolare, fu molto bello il dialogo che il Papa ebbe con i partecipanti all’Incontro Mondiale delle Famiglie, la modalità con cui abbracciò taluni bambini e rispose a questioni brucianti, come le convivenze, il tema del cosiddetto sesso fluido, i problemi del gender: come sempre faceva, rispose senza reticenze. Questo mi colpì molto, come anche la modalità con cui incontrò i sacerdoti e i religiosi e religiose riuniti in Duomo e come, soprattutto, la grande Messa al Parco nord, perché lì vidi la profondità delle radici cristiane del nostro popolo ambrosiano, che sono convinto siano ancora vive. Tutto questo avvenne nei giorni più cruciali del VatiLeaks. Ricordo che il Papa soffriva per questo, perché era un’indubbia ingiustizia, eppure ha vissuto la visita a Milano molto sereno e alla fine, salendo sull’aereo, mi disse: “Sono stati giorni che mi hanno confortato”.
L’Arcivescovo, nel suo messaggio, ha scritto che la «Chiesa ambrosiana ha motivi propri per essere grata» al teologo Ratzinger formatore del clero e al Papa che, in piazza Duomo, aveva parlato «della vocazione di Milano, terra di mezzo e luogo di incontro». Un tema sul quale eravate in sintonia?
Certamente, in sintonia sia con il Papa che con il mio successore, l’arcivescovo Mario. Ma c’è un altro episodio: come Vescovi lombardi fummo tutti a Roma per la Visita ad limina proprio il giorno prima che il Papa lasciasse il Vaticano per Castelgandolfo. Siamo stati, insomma, gli ultimi a vederlo in un atto specifico di Ministero e di Magistero. In quell’occasione Benedetto riprese il tema di Milano città di mezzo, con un’affermazione molto forte. “Voi – disse – portate la responsabilità della rinascita del fatto cristiano e del senso profondo dell’Europa, proprio perché siete la città di mezzo, siete figli di Ambrogio, uomo ecclesiale e civile allo stesso tempo”. Una missione che la nostra Diocesi sta portando avanti, con la solerzia dell’arcivescovo Mario, che non si risparmia in nulla.
Come ricorda quella giornata del 2013 quando papa Benedetto annunciò la rinuncia?
Me lo disse qualcuno mentre stavo entrando nella parrocchia di Santa Maria di Lourdes a Milano, perché era l’11 febbraio e celebravo Messa per gli ammalati. Devo dire che la notizia mi distrasse un poco durante la Messa perché la mente tornava sempre all’annuncio. Io però non sono del parere di coloro che dicono che Ratzinger fece, allora, un passo indietro, anzi penso che, come ha detto papa Francesco, abbia aperto una porta, allargato, senza in nulla intaccare il rispetto sacrale che si deve al Papa, gli spazi di libertà per la Chiesa del futuro, non soltanto per le eventuali dimissioni di altri. Ha permesso di capire che il ministero petrino, come amava dire Balthasar, è “essere presi a servizio”. E questo non è mai senza grandi prove e senza quell’esperienza di solitudine di cui tutti parlano a proposito della vita del Pontefice.