Celebrando i 60 anni dall’inizio del Vaticano II, il Pontefice ha ribadito il suo “no” ad autoreferenzialità, mondanità e clericalismo, “sì” invece al primato di Dio e all’amore per gli uomini, soprattutto per i più poveri. «Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri»

di Maria Michela Nicolais
Agensir

Papa Francesco durante la celebrazione (foto Ansa / Sir)
Papa Francesco durante la celebrazione (foto Ansa / Sir)

«Ritroviamo la passione del Concilio e rinnoviamo la passione per il Concilio”. Sessant’anni anni dopo il primo evento ecclesiale dedicato «a interrogarsi su se stessa, a riflettere sulla propria natura e sulla propria missione», dalla Basilica di San Pietro, nello stesso luogo dove tutto è cominciato, papa Francesco ha stilato il ritratto di una Chiesa che sappia tornare all’essenziale della lezione conciliare – il primato di Dio e l’amore per gli uomini – fuggendo gli “ismi” e percorrendo la strada dell’unità, invece che quella dell’autoreferenzialità e del clericalismo.

«Torniamo al Concilio, che ha riscoperto il fiume vivo della Tradizione senza ristagnare nelle tradizioni – l’invito nella parte centrale dell’omelia -, che ha ritrovato la sorgente dell’amore non per rimanere a monte, ma perché la Chiesa scenda a valle e sia canale di misericordia per tutti. Torniamo al Concilio per uscire da noi stessi e superare la tentazione dell’autoreferenzialità, che è un modo di essere mondani».

No alle nostalgie

Non c’è posto, nella Chiesa, per «le nostalgie del passato, il rimpianto della rilevanza, l’attaccamento al potere, perché tu, Popolo santo di Dio, sei un popolo pastorale: non esisti per pascere te stesso, per arrampicarti, ma per gli altri, tutti gli altri, con amore. E, se è giusto avere un’attenzione particolare, sia per i prediletti di Dio: per i poveri, gli scartati; per essere, come disse Papa Giovanni, “la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”».

«Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche – ha esordito Francesco -. Dio ci liberi dall’essere critici e insofferenti, aspri e arrabbiati. Immersi nel mistero della Chiesa madre e sposa, diciamo anche noi, con San Giovanni XXIII: Gaudet Mater Ecclesia! – l’esortazione sulla scorta del discorso pronunciato da Giovanni XXIII all’apertura del Concilio -. La Chiesa sia abitata dalla gioia. Se non gioisce smentisce se stessa, perché dimentica l’amore che l’ha creata. Eppure, quanti tra noi non riescono a vivere la fede con gioia, senza mormorare e senza criticare? Una Chiesa che ha perso la gioia ha perso l’amore»

A servizio del Regno

«Stare nel mondo con gli altri e senza mai sentirci al di sopra degli altri, come servitori del più grande Regno di Dio», è uno degli insegnamenti fondamentali del Concilio. L’esempio da seguire è quello di Pietro, da pescatore di pesci trasformato in pescatore di uomini e poi in pastore, «un mestiere nuovo che non aveva mai esercitato. Ed è una svolta, perché mentre il pescatore prende per sé, attira a sé, il pastore si occupa degli altri, pasce gli altri. Di più, il pastore vive con il gregge, nutre le pecore, si affeziona a loro. Non sta al di sopra, come il pescatore, ma in mezzo». Ed è proprio questo «sguardo nel mezzo», ha spiegato il Papa, quello che consente a Pietro e alla Chiesa, allora come oggi, di «portare il buon annuncio del Vangelo dentro la vita e le lingue degli uomini, condividendo le loro gioie e le loro speranze».

«Stare in mezzo al popolo, e non sopra il popolo: questo è il peccato brutto, il clericalismo, che uccide le pecore, non le guida, non le fa crescere – ha aggiunto a braccio – Quant’è attuale il Concilio, ci aiuta arespingere la tentazione di chiuderci nei recinti delle nostre comodità e convinzioni, per imitare lo stile di Dio: andare in cerca della pecora perduta e ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita e curare quella malata». «La Chiesa non ha celebrato il Concilio per ammirarsi, ma per donarsi – ha puntualizzato il Papa -. Infatti la nostra santa Madre gerarchica, scaturita dal cuore della Trinità, esiste per amare. È un popolo sacerdotale: non deve risaltare agli occhi del mondo, ma servire il mondo. Non dimentichiamolo: il Popolo di Dio nasce estroverso e ringiovanisce spendendosi, perché è sacramento di amore, segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».

Comunione e non divisione

«Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, a immagine della Trinità, è comunione. Il diavolo, invece, vuole seminare la zizzania della divisione». Così il Papa ha attualizzato la lezione del Vaticano II, che a sessant’anni dal suo inizio chiede ancora alla Chiesa «uno sguardo d’insieme». «Non cediamo alle sue lusinghe, non cediamo alla tentazione della polarizzazione – il monito di Francesco -. Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo”, anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa. Tutti siamo figli di Dio, tutti siamo fratelli nella Chiesa».

«Il Signore non ci vuole così: noi siamo le sue pecore, il suo gregge, e lo siamo solo insieme, uniti – ha concluso il Papa -. Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”, come Gesù ha implorato prima di dare la vita per noi».

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