“Motu Proprio” sulla trasparenza di gestione: «I dirigenti devono dichiarare di non avere condanne o indagini per terrorismo, riciclaggio, evasione fiscale»
Agensir
«L’essere disonesto nelle cose di poco conto, è in relazione con l’essere disonesto anche nelle importanti». Questo il presupposto da cui parte la lettera apostolica in forma di Motu Proprio del Papa recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica.
«La Santa Sede, nell’aderire alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (Convenzione di Merida), ha deciso di conformarsi alle migliori pratiche per prevenire e contrastare la corruzione nelle sue diverse forme», si legge nella premessa del testo, che entra in vigore già da oggi e in cui si ricorda che con il Motu Proprio del 19 maggio 2000, recante “Norme sulla trasparenza, il controllo e la concorrenza dei contratti pubblici della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”, sono stati posti «presidi fondamentali nel contrasto alla corruzione nella materia dei contratti pubblici». «La corruzione, però, può manifestarsi in modalità e forme differenti anche in settori diversi da quello degli appalti – precisa il Papa – e per questo le normative e le migliori prassi a livello internazionale prevedono per i soggetti che ricoprono ruoli chiave nel settore pubblico particolari obblighi di trasparenza ai fini della prevenzione e del contrasto, in ogni settore, di conflitti di interessi, di modalità clientelari e della corruzione in genere».
Coloro che prestano la loro opera nei dicasteri della Curia romana, nelle istituzioni collegate alla Santa Sede, o che fanno riferimento a essa, e nelle amministrazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, per Francesco, hanno dunque «la particolare responsabilità di rendere concreta la fedeltà di cui si parla nel Vangelo, agendo secondo il principio della trasparenza e in assenza di ogni conflitto di interesse».
I dirigenti e gli amministrativi che lavorano in Vaticano devono dichiarare di non avere condanne o indagini per terrorismo, riciclaggio, evasione fiscale. Francesco stabilisce, inoltre, che quanti ricoprono livelli dirigenziali nella Santa Sede non possono avere beni nei paradisi fiscali o investire in aziende che operino contro la dottrina sociale della Chiesa. È proibito, infine, a tutti i dipendenti accettare regali del valore superiore a 40 euro.
Il Motu Proprio odierno riguarda tutti i soggetti inquadrati nei livelli funzionali C, C1, C2 e C3 (cioè dai cardinali capi dicastero ai vicedirettori con contratto dirigenziale quinquennale), e tutti coloro che hanno funzioni di amministrazione attiva giurisdizionali o di controllo e vigilanza. Nel dettaglio, i soggetti citati devono sottoscrivere all’atto di assunzione dell’ufficio o dell’incarico e con cadenza biennale una dichiarazione nella quale attestano «di non aver riportato condanne definitive per delitti dolosi nello Stato della Città del Vaticano o all’estero e di non aver beneficiato in relazione agli stessi di indulto, amnistia, grazia e altri provvedimenti assimilabili o essere stati assolti dagli stessi per prescrizione; di non essere sottoposti a processi penali pendenti ovvero, per quanto noto al dichiarante, a indagini per delitti di partecipazione a un’organizzazione criminale; corruzione; frode; terrorismo o connessi ad attività terroristiche; riciclaggio di proventi di attività criminose; sfruttamento di minori, forme di tratta o di sfruttamento di esseri umani, evasione o elusione fiscale; di non detenere, anche per interposta persona, contanti o investimenti, ivi incluse le partecipazioni o interessenze di qualunque genere in società e aziende, in Paesi inclusi nella lista delle giurisdizioni ad alto rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo come individuati con provvedimento dell’Autorità di sorveglianza e informazione finanziaria, salvo che il dichiarante o i suoi consanguinei entro il terzo grado siano residenti in detti Paesi o vi abbiano stabilito il domicilio per comprovate ragioni familiari, di lavoro o di studio».
I dirigenti e gli amministrativi, inoltre, dovranno dichiarare «che tutti i beni, mobili e immobili, di proprietà o anche solo detenuti dal dichiarante ovvero i compensi di qualunque genere da questo percepiti, per quanto noto al dichiarante, hanno provenienza da attività lecite e non costituiscono il prodotto o il profitto di reato; di non detenere, per quanto a conoscenza del dichiarante, partecipazioni o interessenze di qualunque genere in società o aziende che operino con finalità e in settori contrari alla Dottrina sociale della Chiesa; di non detenere, anche per interposta persona, contanti o investimenti, ivi incluse le partecipazioni o interessenze di qualunque genere in società e aziende, nei Paesi inclusi nella lista delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali individuati con provvedimento della Segreteria per l’Economia, salvo che il dichiarante o i suoi consanguinei entro il terzo grado siano residenti in detti paesi o vi abbiano stabilito il domicilio per ragioni familiari, di lavoro o di studio e tali disponibilità siano state dichiarate alle autorità fiscali competenti».
Ove ne abbia «ragionevole motivo – dispone il Papa nel Motu Proprio – la Segreteria per l’Economia, avvalendosi delle strutture a ciò preposte nella Santa Sede o nello Stato della Città del Vaticano, può eseguire controlli, sulla veridicità delle dichiarazioni presentate». In caso di «dichiarazioni false o mendaci», la Santa Sede «potrà licenziare il dipendente e chiedere i danni eventualmente subiti».