Non solo un avvenimento storico, ma un modo per attuare concretamente l’enciclica. L’antico sogno di Giovanni Paolo II - celebrare a Ur dei Caldei l’inizio della storia della salvezza - non è estraneo alla visita, ma l’accento cade piuttosto su aspetti che caratterizzano il pontificato di Francesco
di monsignor Paolo
BIZZETI
Vicario apostolico di Anatolia (*)
Non c’è dubbio che la visita del Papa in Iraq sarà un avvenimento storico. In vista dell’anno giubilare del 2000, San Giovanni Paolo II l’aveva messa in programma ma alla fine Saddam Hussein decise per il no; il Papa la desiderava molto perché era l’occasione per celebrare gli inizi della storia della salvezza: Abramo infatti era partito da Ur dei Caldei, nel sud dell’Iraq. Questo significato non è certo estraneo al viaggio di papa Francesco, ma forse oggi l’accento cade piuttosto su aspetti che caratterizzano maggiormente l’attuale pontificato. Vediamo quali possono essere.
Anzitutto, direi che papa Bergoglio ha nel cuore la difficile situazione del Paese, travagliato da guerre decise altrove, ma anche da lotte intestine. E naturalmente la situazione dei cristiani in questo contesto. Nell’udienza ai partecipanti alla Riunione delle Opere di aiuto alle Chiese Orientali (Roaco – 10 giugno 2019), così si era espresso: «Un pensiero insistente mi accompagna pensando all’Iraq, perché possa guardare avanti attraverso la pacifica e condivisa partecipazione alla costruzione del bene comune di tutte le componenti anche religiose della società, e non ricada in tensioni che vengono dai mai sopiti conflitti delle potenze regionali».
Affermazione ribadita al presidente iracheno, il 25 gennaio di un anno fa, nella quale affermava di voler contribuire alla stabilità e al processo di ricostruzione del Paese incoraggiando la via del dialogo e della ricerca di soluzioni adeguate a favore dei cittadini e nel rispetto della sovranità nazionale, insieme all’importanza di «preservare la presenza storica dei cristiani» e «la necessità di garantire loro sicurezza e un posto nel futuro del Paese».
L’esodo dei cristiani ha dimensioni bibliche, epocali. Sotto Saddam Hussein erano quasi un milione e mezzo, oggi sono ridotti a circa 300 mila, nelle migliori stime. Oltre alla guerra, c’è stato infatti lo sciagurato tentativo di instaurazione di uno stato islamico fondamentalista a opera dell’Isis (Daesh), peraltro finanziato e sostenuto dalle potenze confinanti e armato anche dall’Europa. Triste dirlo, ma è così. I cristiani rimasti, oggi, finite le persecuzioni attive, non si trovano in una buona situazione e ci informano di una vita molto difficile per la popolazione in generale e in particolare per loro. Il Papa dunque va per sostenere i pastori e le greggi, per offrire loro un’occasione di ritrovarsi, di fare festa, di sentirsi visitati dal Signore Gesù attraverso il successore di Pietro.
La finalità ecumenica è anch’essa evidente: papa Francesco crede molto e giustamente in questo andare a trovare a casa loro i fratelli delle altre confessioni cristiane. È lo stile di vita di una Chiesa in uscita. Sarà accompagnato dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali che segue con attenzione e affetto questa parte del mondo cristiano dove risiedono le origini della fede biblica e del Cristianesimo: la Chiesa Caldea, la Chiesa Siriaca, la Chiesa Assira sono chiese della prima ora, custodi del patrimonio originario dei discepoli di Gesù. L’ecumenismo qui in Medio Oriente è pane quotidiano, ricco di antiche ferite e divisioni, ma anche di sorprendenti intese e convivenze, soprattutto nelle famiglie dove non di rado ci sono varie appartenenze.
Ma sicuramente uno dei motivi principali è l’interesse verso il mondo musulmano, questa volta sciita. Infatti è prevista una tappa a Najaf, una delle culle sciite, meta di pellegrinaggi da tutto il mondo, dove risiede il grande ayatollah Sayyd Ali Al-Husaymi Al Sistani, la più alta autorità sciita dell’Iraq, cui papa Francesco riserverà una visita privata.
È chiaro che questo incontro si pone nella scia di quello di Abu Dhabi. Sono incontri che in Europa vengono liquidati rapidamente, sia per scarso interesse verso questa parte di mondo e di umanità, ma anche perché considerati un po’ utopici o azzardati, quando non addirittura criticati. Alzare muri e sottolineare differenze identitarie sembra l’unica via possibile, secondo molti, da parte sia musulmana, sia cristiana. Niente di più sbagliato. Solo conoscendosi, solo incontrandosi, solo cercando accordi sui temi del bene comune come la pace, la libertà religiosa, la convivenza civile, eccetera, si può sperare di disarmare l’appoggio, spesso subdolo, alle forze estremiste.
Il Papa e quanti lo seguono si pongono in una linea profetica. Il profeta non è preoccupato di quante persone lo seguono o di quanti like riceve sui social: gli preme che la religione sia una forza di pace riconosciuta; gli preme la fraternità. Queste visite del Papa perciò sono un modo per attuare concretamente quanto espresso nell’enciclica Fratelli tutti: se abbiamo un unico Padre, dobbiamo incontrarci da fratelli per affrontare insieme i nemici comuni, l’indifferenza verso Dio e la contrapposizione che genera odio e violenza, e promuovere la custodia del creato e vie di sviluppo sostenibili e accessibili a tutti.
(*) da Agensir, ripreso da Toscana Oggi