«La questione si intensifica. Ma per ora nulla di più». Così monsignor Visvaldas Kulbokas a proposito della possibilità che il Pontefice si rechi a Kiev
di Maria Chiara
Biagioni
Agensir
«La questione si intensifica in virtù della risposta del Papa. Si intensifica. Ma per ora nulla di più». Così il Nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas, commenta la risposta data da papa Francesco a un giornalista che sul volo verso Malta, gli chiedeva se avesse preso in considerazione l’invito a recarsi a Kiev, dicendo: «Sì, è sul tavolo».
«Sono aperte tutte le possibilità – osserva da Kiev il Nunzio -. Fin dall’inizio di questo conflitto, il Papa ha detto di essere pronto a fare tutto il possibile. Lo ha detto più volte e lo sta facendo ed è evidente che sta facendo tutto ciò che può contribuire a fermare questa guerra».
Situazione critica
La situazione in città rimane critica. «Sono rare le notti senza bombardamenti», conferma monsignor Kulbokas, sebbene «già da 36 ore non sentiamo più i colpi di artiglieria. Proprio ieri però diceva il sindaco di Kiev che ci sono alcuni abitanti di Kiev che vorrebbero tornare ma è ancora troppo presto. Mi dicono tutti che le parole di papa Francesco sono importanti e non c’è nessuno qui che non desideri una visita del Papa – aggiunge il Nunzio -. Una guerra così, chi la ferma? Nessuno. Le Nazioni Unite? Non esistono. Il Consiglio di sicurezza? Non esiste. Alla fine, siamo tutti a nudo. L’umanità è incapace a risolvere questa guerra. Qui, non si tratta più del Papa. Secondo me, tutta l’umanità deve essere unita. Il mio sogno allora sarebbe vedere tutte le autorità morali del mondo unirsi, stringersi e fare insieme tutto ciò che è possibile per fermare non solo questa guerra ma tutti i conflitti del mondo. Qui in Ucraina questa guerra è uscita fuori da tutti gli argini delle leggi umanitarie. Ieri il direttore del più grande ospedale pediatrico di Kiev mi ha raccontato al telefono che stanno curando i bambini alcuni dei quali i militari hanno sparato con predeterminazione alla testa. Non si tratta quindi di ferite dovute a colpi ricevuti per caso, ma di soldati che mirano al bambino e gli sparano in testa. La guerra produce questi fatti. La guerra è da condannare sempre perché tocchiamo tutte le brutalità che produce».