Nella Basilica di Santo Stefano, gremita di oltre 1000 fedeli, l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione eucaristica in suffragio delle vittime degli attentati nello Sri Lanka: «Non rassegnatevi, guardate al bene che resta da compiere»
di Annamaria
Braccini
È la voce di chi non ha più voce, è il grido degli innocenti inermi, dei martiri uccisi la mattina di Pasqua.
Il grido di dolore che si fa grido di protesta, contro una violenza insensata e cieca, risuona nella basilica di Santo Stefano Maggiore, parrocchia generale dei Migranti, attraverso le parole dell’Arcivescovo. È lui che, personalmente, ha deciso di presiedere un’Eucaristia in memoria delle quasi 400 vittime degli attentati in Sri Lanka e in segno di fraternità con questa Chiesa sorella, con le centinaia di feriti, con le famiglie colpite e con un intero popolo.
In Santo Stefano, che si affolla già molto prima dell’inizio della Messa, ci sono oltre 1000 fedeli, molti in piedi fino alle porte, per la maggioranza appartenenti alle Comunità dello Sri Lanka, ma anche di altre Cappellanie straniere che, invitate, non mancano a questo momento di preghiera celebrato in più lingue. Tra le navate, risuonano i canti del Coro srilankese, mentre ai lati dell’altare maggiore lo stendardo della comunità di Milano, “Our Lady of Lanka”, è posto accanto alla piccola statua del Cristo risorto normalmente offerto alla devozione nelle loro parrocchie. Quasi un’immagine vivente dell’unica Chiesa dalle Genti.
Concelebrano il vicario episcopale di Settore, don Mario Antonelli, altri vicari anche di Zona, tra cui monsignor Mario Azzimonti, per la Città di Milano, il responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, don Alberto Vitali, unitamente a una ventina di sacerdoti e ai 3 Cappellani della comunità colpita. A lato dell’altare siedono 6 monaci buddisti che portano, in preghiera silenziosa, la solidarietà della loro fede, la più diffusa nello Sri Lanka. Non manca il console generale del Paese in lutto, Denzil Fonseka.
Dal Salmo 74, con il suo grido di fronte alla distruzione del tempio, prende avvio l’omelia del vescovo Mario. «È questo il nostro grido di fronte all’attacco alle chiese, all’aggressione che ha seminato morte di persone innocenti radunatesi per pregare. Il nostro grido chiede che questo terrorismo venga rifiutato da tutti, che il terrorismo islamico sia rifiutato dagli islamici, che coloro che credono in una religione cosi antica e ricca di tanti valori, siano loro stessi a dichiarare che non possono accettare di essere confusi con i terroristi che seminano morte».
Contro chi fa della religione un vessillo di odio, l’Arcivescovo scandisce: «Noi vogliamo che tutte le religioni costruiscano la pace, che i fedeli di tutte le religioni siano operatori di pace per essere riconosciuti come figli di Dio».
Il richiamo – forte – è alla Comunità internazionale: «Siamo qui radunati anche per dire la nostra protesta perché, mentre il terrorismo si organizza a livello internazionale, le forze della giustizia, le Istituzioni preposte al bene comune non sono capaci di organizzarsi allo stesso livello per proteggere i loro cittadini, per difendere persone che sono inermi, che vivono la loro vita costruendo il bene per sé e le loro famiglie. Dobbiamo fare appello alle Istituzioni perché siano forti, intelligenti, alleate per il bene». È la partecipazione di tutta la Comunità cattolica ambrosiana: «La cosa più giusta che possiamo fare è pregare per le vittime, per coloro che piangono i loro cari e per tutto un Paese che si scopre fragile e vulnerabile».
Fragile come le mani e i piedi feriti di Cristo, a cui l’Arcivescovo chiede di guardare.
«Fate che il vostro sguardo passi, attraverso le ferite dall’orrore per quello che la crudeltà dell’uomo può compiere, alla luce che viene da Dio e che avvolge l’uomo di compassione, di misericordia e di pazienza. Guardate le vostre mani: quanto bene possono fare, quante fatiche hanno affrontato e quante ferite hanno subìto. Non rassegnatevi. Alzate le vostre mani nella preghiera, lasciatevi accogliere nell’abbraccio del Padre; lasciatevi accarezzare dalla tenerezza della Madre; lasciatevi condurre dalla sapienza della Chiesa. In questo tragico momento, ciascuno di noi è invitato a guardare le mani di Gesù trafitte per la crudeltà degli uomini, eppure offerte da Cristo stesso. Così ciascuno deve guardare le proprie mani per domandarsi cosa possiamo fare per imitare Gesù, per offrire conforto a chi soffre, a chi è ferito da una cattiveria incomprensibile, per stringere amicizia e alleanze. Guardate quanto bene resta da compiere».
Poi, all’offertorio, accompagnati dal canto della tradizione srilankese di “offerta del dolore di Cristo”, i più piccoli – moltissime le famiglie giovani e i bambini presenti – portano i doni e le bandiere di tante nazioni, mentre un gran numero di fedeli lasciano all’altare una semplice busta bianca contenete le offerte per le vittime degli atti terroristici. Si prega anche per il perdono di chi li ha compiuti.
A conclusione è uno dei Cappellani srilankesi a dire: «Siamo nel dolore e nel pianto, ma in questo momenti di disperazione, ci fa bene e desta una grande gioia avere il nostro Vescovo con noi».