Marco Tumiz ha 41 anni e ha avvertito la vocazione quando era già ingegnere professionalmente inserito: «Cambiare vita non è stato semplice, ma ne è valsa veramente la pena»
di Ylenia SPINELLI
Marco Tuniz, 41 anni, originario della parrocchia di Santa Giuliana Vergine e Martire di Caponago (Mb), è entrato in Seminario con una laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni e un lavoro ben avviato in una multinazionale della microelettronica, dove si occupava dello sviluppo di dispositivi di sicurezza nel campo automobilistico.
«È difficile dire quando sia nata la mia vocazione – racconta -. Probabilmente a 16 anni, durante il servizio di animatore all’oratorio estivo, ma la consapevolezza è giunta più tardi, attorno ai vent’anni. Frequentando la Scuola della Parola ho scoperto il volto del Signore come quello di un Padre misericordioso e questo ha ribaltato completamente la mia vita».
Marco ammette che lasciare un lavoro che gli piaceva e dava soddisfazioni è stata una delle cose più difficili, così come la consapevolezza di doversi rimettere in gioco con lo studio e con nuovi ritmi. «Andare a vivere in comunità e perdere la propria gestione della libertà, per una promessa di felicità, non è stato semplice – confessa il futuro prete -, ma alla fine posso dire che ne è valsa veramente la pena».
Marco ha sempre desiderato essere ingegnere, la sua curiosità lo ha sempre spinto a chiedersi come funzionassero le cose e, sin da bambino, sognava di progettare nuovi oggetti da usare nella vita quotidiana. «A un certo punto della mia vita, non so spiegare il perché – dice ,, non sono cambiati i miei sogni, ma ho capito che il Signore mi chiamava altrove e da questo dipendeva la mia felicità piena». Ora, riavvolgendo il filo della memoria e ripensando agli anni trascorsi in Seminario, Marco ammette: «Ci sono stati momenti difficili, ma anche questi li conservo come un tesoro prezioso».
Quanto alla vita e alle esperienze precedenti, conclude: «Tutto quello che ho fatto rimane dentro di me, perché mi definisce come uomo e penso che, prima del prete, le persone incontrino l’uomo e dunque le tracce che le esperienze passate hanno lasciato nella mia vita. Tutto ciò sono sicuro che mi aiuterà nel ministero».