Redazione

A me è toccata l’esperienza dell’Oratorio nell’età dell’adolescenza e della giovinezza. Diciamo anche che attraverso l’Oratorio di Rho ho conosciuto quelli che sono i miei più grandi amici e quello che poi sarebbe stato mio marito. La mia persona si è costruita lì.

Per me l’Oratorio è stato un’esperienza incredibile di condivisione e di corresponsabilità. Ti trovi lì e scopri che le persone che ci sono si interessano a te, a loro interessi tu per quello che sei. Ma lì dentro io credo di aver scoperto la formula del “noi” che mi si è appiccicata addosso. Nella vita non sono più riuscita a dire “voi”, quando parlo di una realtà della quale faccio parte anch’io, della quale mi sento responsabile. Nemmeno quando ho fatto il consigliere di opposizione mi sono mai rivolta alla giunta, che era di altro colore rispetto al mio, dicendo “voi” e puntando il dito. Quando si fa parte di una comunità ciascuno ha un pezzetto di responsabilità dentro quella comunità, e non ha nemici. Semmai avversari, nel senso che ha delle persone schierate da un’altra parte, che la pensano diversamente.

In Oratorio ho imparato anche a dire “grazie”, che mi sembra una parola in via di estinzione. Nel senso che fuori dall’Oratorio, nella maggioranza degli ambienti in cui poi sono andata – soprattutto nell’amministrazione pubblica – si è abituati a pensare in termini di persone che erogano un servizio e utenti del servizio. Dentro l’Oratorio il mondo è diverso, il servizio è totale, ciascuno è implicitamente al servizio dell’altro, mette a disposizione quello che ha e impara a stimare, a ringraziare, a sentirsi grato per le persone che ha intorno, che sono gli educatori. Io ho avuto grandi figure di educatori, sia preti che suore. Io ho vissuto l’Oratorio alla “Casa del Rosario” di Rho, le suore sono quelle di Maria Ausiliatrice: sono state delle grandi donne con noi ragazze.

Oratori divisi, maschile e femminile. Anche noi abbiamo avuto le prime esperienze di vita comune, catalizzate dal gruppo di Azione cattolica, che già negli anni ‘70 metteva insieme i ragazzi e le ragazze che ritenevano di fare questa esperienza. Esperienza che in assoluto è la più potente della mia giovinezza. Qualche volta con gli amici di allora ci diciamo: «Abbiamo fatto delle cose straordinarie pensando che fossero assolutamente normali, ed è stata un’enorme fortuna». L’esperienza dell’Oratorio e dell’Ac per noi ha voluto dire una grandissima chiamata alla corresponsabilità.

Una cosa ci tengo a dire: per noi l’Oratorio è stata una grande scuola di lettura della Parola di Dio. Devo dire, con amarezza che mio figlio un giorno è tornato a casa e mi ha chiesto: «Mamma nel Vangelo c’è una parabola sola?». Era chiaramente una domanda provocatoria. È l’ottava volta che gli fanno leggere il figliol prodigo e mai che gliene facciano leggere un’altra. È vero, io devo dire che rispetto ai miei figli ho avuto un percorso di uno spessore notevolissimo, riguardo alla lettura del Vangelo e della Bibbia. Mi è sembrato che in questi anni più recenti, almeno negli Oratori che conosco, questa che è sicuramente una scuola estremamente esigente e formativa sia stata un pochino depotenziata. Secondo me che l’Oratorio deve rimanere scuola di lettura, di ascolto, di formazione alla Parola.

L’ORATORIO COME PUNTO DI RIFERIMENTO
La risposta è “troppo poco”! Mi trovo spesso a pensare con nostalgia all’Oratorio come a una casa che non ho più il tempo di frequentare, una casa dove ti coccolano, in cui sei riconosciuto. Nelle case che frequento adesso tutto fanno tranne che coccolare, e quindi ci si accorge che la vita può essere molto dura in certe situazioni. L’Oratorio, che a volte può sembrare aspro o noioso, è invece di una tale ricchezza, di una tale potenza di umanità, che solo fuori dall’Oratorio se ne comprende lo spessore. Quando ci torno, per me è come tornare a casa. E nelle facce dei ragazzi di adesso, rivedo i bambini di catechismo di anni fa, rivedo i miei figli, rivedo me stessa quando attraversavo quei locali che adesso hanno un altro volto ma che si prestano a ospitare storie diverse eppure così parallele a quelle che in passato hanno già ospitato.

Gli Oratori sono già, forse possono esserlo meglio, uno dei nodi della rete che rende sostenibile la convivenza nelle nostre comunità, cosa tutt’altro che facile. Noi stiamo chiedendo l’impossibile alle nostre vite, agli ambienti in cui viviamo, al tempo di cui disponiamo. Stiamo veramente comprimendo, spremendo quello che ne possiamo ricavare. Allora i luoghi dove ci si può interrogare sul senso del vivere, dove gratuitamente si possono scambiare energie – e soprattutto se le possono scambiare le persone che stanno crescendo -, sono luoghi preziosi, sono i luoghi che tutelano la convivenza. Gli Oratori sono sicuramente uno dei nodi che tengono ancora in questa rete che altrimenti si lacera. E noi donne sappiamo che quando si lascia andare una maglia, la smagliatura poi non la ferma più nessuno.

L’intervento proposto è una sintesi tratta dalla registrazione dell’incontro, tenuto a Milano nella parrocchia di S. Paolo in occasione del 70° dell’Oratorio San Domenico Savio, e mantiene il tono “parlato” e familiare di quella serata.

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