Mercoledì 13 maggio Santo e Francesco, due detenuti del carcere di Bollate, in via eccezionale hanno partecipato in piazza San Pietro all’udienza del Santo Padre. Alla fine l’incontro e la benedizione personale
di Luisa BOVE
Non è stato un mercoledì qualunque per Santo Tucci il 13 maggio scorso. È partito in auto il giorno prima dal carcere di Bollate insieme all’amico Francesco con in tasca il permesso premio firmato dal Magistrato di sorveglianza per partecipare in piazza San Pietro all’Udienza di papa Francesco. Inutile dire che la notte prima non ha chiuso occhio: «Alle sei del mattino eravamo già in pista, perché avevamo appuntamento con monsignor Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, che ci ha dato la possibilità di questo incontro. Avevamo i posti assegnati nelle prime file dove era previsto che alla fine il Papa sarebbe venuto ad abbracciarci».
«È stata un’attesa molto emozionante prima che arrivasse il Santo Padre. Non stavo nella pelle. Non ricordo di aver mai provato un’emozione così grande. Mi ha colpito soprattutto il luogo, l’atmosfera della piazza e il grande calore umano che respiravo intorno a me nei confronti del Papa», racconta Santo. «Da una parte c’era in me il desiderio di esplorare un mondo nuovo, dall’altra scoprivo che mi apparteneva già ed era dentro di me. Non è facile spiegarlo, ma è quello che ho provato».
«All’improvviso ho provato un senso di serenità e tranquillità. Non volevo più staccarmi da quella sensazione, anche perché era scomparsa la tensione. Molto lo devo a monsignor Pasini, seduto al nostro fianco e che ci ha messo a nostro agio: ci ha parlato di lui, del suo lavoro, delle responsabilità in Vaticano…»
«Durante l’udienza papa Francesco – ricorda Santo – ha spiegato tre parole da vivere in famiglia: permesso, grazie, scusa. Parlava della riconciliazione tra persone e diceva: si può anche litigare, ma prima che finisca la giornata bisogna fare pace per riconciliarsi. E far crescere l’amore in qualsiasi rapporto umano». Ma «la cosa più bella», ammette, «era la semplicità con cui comunicava questi valori. A volte nella vita perdiamo certi valori come l’amore, la fratellanza, l’amicizia, il rispetto delle persone… che sono alla base di ogni rapporto umano. Il Papa ha ricordato di non perdere mai di vista questi valori».
«Al termine dell’udienza papa Francesco è venuto da noi – dice ancora emozionato -, sono stato introdotto da mons. Pasini che ha detto che venivo dal carcere e che avevo fatto tanti chilometri. Ci siamo scambiati soltanto poche battute, era stanchissimo, ma gioioso, e quando ha sentito la parola “prigione” ci ha abbracciato e ci ha dato la benedizione. C’è stato poco tempo, ma ho portato al Papa i saluti di tutti e gli ho comunicato quello che provavo, che sto soffrendo perché sono in carcere da tanti anni. Ho visto nei suoi occhi una luce e uno sguardo penetrante, che mi ha trasmesso tanta gioia. In lui ho visto l’uomo, il volto di Gesù. Poi gli ho dato il regalo che ho costruito per lui: un bellissimo centro tavola di vetro e ferro battuto che richiama i colori dell’arcobaleno. Se prima ero emozionato, poi quando si è avvicinato ero di una serenità straordinaria. In quel momento ho ripensato alle tante persone, sacerdoti e suore, che ho incontrato in questi anni».