Memoria affettuosa e profonda gratitudine hanno caratterizzato la celebrazione che l’Arcivescovo ha presieduto in Duomo nel ricordo dei cardinali Schuster, Colombo, Martini e Tettamanzi
di Annamaria
Braccini
«Il tempo fa maturare i semi gettati nelle vicende della storia e, ricordando i nostri Vescovi, noi raccogliamo con gratitudine i frutti del loro Ministero, vissuto tra molte prove. In questo decennio della morte del cardinale Carlo Maria Martini ringraziamo il Signore, con stupore e ammirazione, per il bene che continua a compiere con le parole che ispirano pensieri e speranze, con la sapienza che aiuta molti nei percorsi di preghiera e di discernimento, con la sua insistenza sulla familiarità e la conoscenza delle Scritture che continuano a essere invito ad attingere alla parola ispirata, all’acqua viva che zampilla per la vita eterna».
Le espressioni di profonda gratitudine con le quali l’Arcivescovo ricorda in Duomo – nel giorno della memoria liturgica del beato Alfredo Ildefonso Schuster, tornato alla Casa del Padre il 30 agosto 1954 – anche i cardinali Giovanni Colombo (nel trentesimo della morte), Carlo Maria Martini (nel decennale) e Dionigi Tettamanzi (a cinque anni dalla scomparsa) danno voce all’intera Chiesa ambrosiana di cui questi uomini illustri furono Pastori.
Presenti parenti e collaboratori dei presuli ricordati e le autorità – con la vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo con la fascia tricolore -, concelebrano una cinquantina di sacerdoti, tra cui i Vescovi ausiliari, i membri del Consiglio episcopale milanese e del Capitolo della Cattedrale e il presidente della Fondazione Carlo Maria Martini padre Carlo Casalone. Ai molti fedeli, giunti da ogni parte della diocesi, si rivolge l’omelia dell’Arcivescovo (leggi qui il testo) che, per l’occasione, indossa la mitra del cardinale Colombo e la croce pettorale del cardinale Schuster, portata fino alla morte dal cardinale Tettamanzi. Parlando della «comunione dei Santi» – così come aveva fatto poco prima l’arciprete della Cattedrale nel suo saluto di benvenuto – e richiamando la Lettera paolina ai Tessalonicesi, appena proclamata nella Liturgia della Parola, è chiarissimo il riferimento dell’Arcivescovo al nostro tempo.
L’omelia
«Coloro che esercitano il Ministero e assumono responsabilità nella Chiesa sperimentano critiche, resistenze e opposizioni: tutti, gli apostoli santi e quelli mediocri, i grandi personaggi dotati di molti talenti e le personalità modeste. Le critiche e le obiezioni sul ministero di Paolo sono quelle di sempre», dice infatti monsignor Delpini.
Tre, nello specifico, tali critiche citate dall’Apostolo e riprese dall’Arcivescovo, come «il sospetto deprimente di un Ministero inutile che si insinua spesso nelle considerazioni di un Vescovo, di un prete, ma anche di un papà, una mamma, un educatore». «Credo – spiega – che un pensiero di questo genere abbia visitato la mente di tutti i Vescovi, di tutti coloro che hanno responsabilità».
Poi, «l’accusa irritante che tende a squalificare il bene che si fa, l’aiuto che si offre, anche la parola con cui si convoca e incoraggia la Chiesa. Quando si insinua che le parole sono belle, ma le intenzioni sono ambigue». Terzo, «l’insinuazione maliziosa» che ci si serva «del proprio ruolo per rendersi popolari, per l’ambizione di farsi applaudire».
Da qui il monito, perché non sta a noi giudicare e «i nostri Vescovi ci insegnano a vincere il sospetto del Ministero inutile con l’abbandono nella fede»; perché «si respinge l’insinuazione di un Ministero di parte, di una presa di posizione motivata da qualche interesse», con la cura da loro sempre dimostrata per l’unità della Chiesa loro affidata. «L’hanno visitata tutta, hanno ascoltato tutti, hanno avuto pazienza con coloro che li criticavano e con coloro che non avevano stima di loro. Hanno servito l’unità. Ora che contempliamo i nostri Vescovi nella comunione dei Santi, la vera risposta è la testimonianza e la memoria affettuosa che ci hanno lasciato».
Tutto ciò che, conclude, ancora oggi ha tanto da offrire alla nostra Diocesi in cammino e a chi ora la guida: «Il richiamo alla dimensione contemplativa della vita con cui il cardinale Martini ha iniziato il suo Ministero, l’esemplare essenzialità del beato cardinale Schuster sulla liturgia, la cura che i cardinali Colombo e Tettamanzi hanno espresso per la riforma post-conciliare del Rito ambrosiano, hanno indotto a proporre, nell’Anno pastorale che stiamo per iniziare e negli anni a venire, la cura per il celebrare e la custodia della dimensione contemplativa come una priorità pastorale irrinunciabile».
Un omaggio ideale da vivere giorno per giorno che si fa, in Cattedrale, gesto concreto, al termine della celebrazione, con la preghiera silenziosa dei concelebranti portata sulle tombe dei presuli defunti, l’incensazione e la benedizione dell’Arcivescovo presso l’altare che custodisce l’urna del cardinale Schuster.