Nella Basilica di Sant'Ambrogio l'Arcivescovo ha presieduto la celebrazione eucaristica in suffragio con cui la Diocesi ha ricordato il Papa emerito scomparso il 31 dicembre

Messa per Benedetto XVI
Un momento della celebrazione

di Annamaria Braccini

«Siamo qui raccolti in preghiera per il suffragio e la riconoscenza verso Benedetto XVI, perché continui a parlarci come amici per dire le parole essenziali della fede, dell’amore per la verità, della comunione con papa Francesco e con tutta la Chiesa». È questo l’auspicio dell’Arcivescovo che, in una Basilica di Sant’Ambrogio gremita di fedeli, presiede la Messa in suffragio del Papa emerito, concelebrata da sette Vescovi – il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, e gli altri ausiliari di Milano, cui si aggiungono monsignor Gaetano Bonicelli, Vescovo emerito di Siena, e gli ambrosiani monsignor Giuseppe Merisi e monsignor Roberto Busti – e da una ventina di sacerdoti, tra cui molti membri del Cem.

In apertura del Rito, dopo il saluto di benvenuto dell’abate, monsignor Carlo Faccendini, che definisce il Papa emerito «roccia forte e gentile della nostra fede», il pensiero dell’Arcivescovo va al cardinale Scola – «lo sentiamo vicino a noi, anche se non può essere presente» – e naturalmente a Benedetto, verso il quale «la nostra Diocesi ha una particolare gratitudine, per la sua visita tra noi del 2012, per il suo magistero e la stima che ha sempre manifestato per la Chiesa ambrosiana».

Umile servitore nella vigna del Signore

Una gratitudine per l’uomo di Dio, lo studioso, l’umile servitore nella vigna del Signore – come lo stesso Papa si definì nella sera della sua elezione al Soglio -, che va molto oltre i limiti della vita umana, seppure lunga. «La fede – dice infatti l’Arcivescovo nell’omelia (leggi qui il testo integrale) – non fissa lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne. L’umile servo che si è estenuato nella dedizione si consegna all’intercessione e, nella preghiera, contempla l’invisibile, la Chiesa dei piccoli, di coloro che non si fanno sentire, ma sono il popolo immenso che cammina verso la terra promessa; i piccoli che amano, pregano e si rallegrano del dono di essere figli di Dio».

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Una Chiesa – questa – che il Papa emerito ha amato fino alla fine, nell’avanzare dell’età, quando magari «i libri amati non si possono più leggere e, allora, si rivelano per quello che sono, persone vive che hanno scritto per condividere pensieri, domande, esperienze. Nel farsi buio della vista che si spegne credo che a papa Benedetto XVI si siano fatti vicino i grandi amici, prima di tutti Agostino e i padri della Chiesa, e abbiano conversato della precarietà del mondo e della vita beata».

E così anche per la musica, tanto amata da papa Ratzinger, anche quando «le mani non possono più suonare il pianoforte». «Forse non c’è immagine più suggestiva di quella che dipinge la gloria di Dio come un coro di angeli che allieta la comunione dei santi: Benedetto, mentre l’uomo esteriore si andava disfacendo, ha sperimentato l’intima gioia dei cori angelici».

Il servizio alla Chiesa

Ma, soprattutto, si è domandato monsignor Delpini, «che cosa succede del servizio alla Chiesa tedesca, alla Chiesa romana, alla Chiesa cattolica, quando si interrompono le responsabilità, quando giungono soltanto, nell’eremo scelto per dedicarsi alla preghiera, le notizie e le chiacchiere, le critiche e le nostalgie?». Rimane il servizio di tutta una vita «per la Chiesa fatta della gente semplice che, forse, non comprende divisioni e polemiche».  

E, ancora, «che cosa succede del mondo, delle folle innumerevoli che popolano la terra, della missione senza confini di tempo e di spazio che inquieta la Chiesa quando i movimenti sono lenti e non si può andare da nessuna parte?». Restano l’amicizia e la fraternità: «Benedetto XVI percorre la via lenta e lieta dell’amicizia. L’umanità si libera dal grigiore dell’anonimato e si rivela non una folla innumerevole, ma la bellezza di ogni persona, con la sua storia e la sua pena». Per questo, la «riconoscenza» si fa per tutti preghiera e speranza.

Una testimonianza che prosegue

«Chiediamo la grazia che il suo magistero, la tua testimonianza continuino a ispirare il cammino della Chiesa unita libera e lieta sotto la guida di papa Francesco. La nostra preghiera stabilisce, in questa celebrazione, una particolare intimità spirituale con Benedetto XVI e vorrebbe questo nostro pregare, essere un modo per lasciarsi condurre dal suo invecchiare e morire a contemplare con lui le cose invisibili allo sguardo superficiale per lasciarci illuminare da qualche riflesso della quantità smisurata ed eterna della gloria e così vivere la tradizione come la compagnia di amici, sperimentare il miracolo che trasforma i rumori della terra nell’armonia dei cieli e amare la Chiesa, il popolo dei piccoli ai quali il Padre ha rivelato la sua paternità, accogliendo il mondo come una vocazione all’amore, all’amicizia e alla fraternità».

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