Don Igor Krupa, della Chiesa cattolica di rito bizantino, è in città dal 2015: «C’è preoccupazione per chi vive qui e naturalmente per la nostra gente là, a cui siamo vicini con la preghiera. Non siamo soli, sentiamo la solidarietà degli italiani»

di Annamaria Braccini

Sfollati nella metropolitana di Kiev (foto p. Andriy Zelinskyy)
Sfollati nella metropolitana di Kiev (foto p. Andriy Zelinskyy)

Don Igor Krupa, cappellano della missione per i fedeli ucraini cattolici di rito bizantino San Josaphat, collaboratore pastorale della parrocchia dei Santi Giacomo e Giovanni, a Milano dal 2015, lo dice con chiarezza, anche se la voce è spezzata dalla commozione e dall’angoscia: «La guerra è il più grande disastro e la più grande pazzia che l’uomo può fare».

Come vive questi momenti tragici?
Con sentimenti di dolore, di preoccupazione, di vicinanza per la mia gente qui e in Ucraina, perché tutti gli ucraini che si trovano in Italia hanno legami, parenti, amici nel nostro Paese di origine, hanno lasciato magari la loro intera famiglia là. Sinceramente non riesco a pensare a niente se non a questa tragedia. Mi viene spontaneo solo pregare e, in questo modo, stare vicino alla mia terra.

L’Arcivescovo chiede a tutti di pregare, di dire il Rosario e lui stesso, a livello personale, lo recita ogni giorno per chiedere la pace. Vi sentite circondati dall’affetto di questa città, di questa Diocesi nel cui territorio tanti di voi vivono e lavorano con una felice integrazione?
Nella parrocchia dei Santi Giacomo e Giovanni, dove ci ritroviamo, abbiamo organizzato un momento di preghiera insieme ai nostri fratelli italiani dell’intero Decanato Navigli. Vorrei ringraziare perché è stata una cosa molto bella che ci ha sostenuto. Quando celebro Messa in italiano o incontro persone che mi conoscono, mi dicono sempre che pregano per noi e che hanno nel cuore la situazione che sta sperimentando il popolo ucraino. Un popolo, il nostro – come ho scritto, qualche tempo fa, a proposito del Sinodo «Chiesa dalle genti» (leggi qui, ndr) -, che ha un fortissimo legame con la propria terra d’origine. Lo dicono anche gli italiani quando ci vedono pregare, animare la liturgia, preparare le diverse feste. Proprio la comunità religiosa, per tanti ucraini fuori dal Paese, è il luogo in cui le persone si sentono come a casa. Questo mi fa dire che non siamo soli ad affrontare questa terribile guerra.

Don Igor Krupa

Don Igor Krupa

Lei ha citato l’espressione: «Soltanto colui che ha fatto la guerra può raccontare la verità sui terribili disastri che lascia». Il popolo ucraino è notoriamente pacifico e religioso: come testimoniate, anche in tempi normali, questa vostra scelta?
Mi piace ricordare che nella nostra comunità celebriamo una Messa ogni giovedì alle 14.30, nel giorno in cui la maggioranza dei fedeli ucraini ha mezza giornata libera dal lavoro. Sono Messe e momenti sempre partecipatissimi e per i quali la nostra gente preferisce vivere così ore che potrebbero essere di svago e divertimento. Noi ucraini in Italia siamo gente semplice, venuta nel vostro Paese per avere un domani migliore, per dare un futuro ai figli, per migliorare la condizione non solo personale, ma delle famiglie. Affidiamo tutto nelle mani del Signore, l’unico che possa cambiare le cose. Penso con amarezza che facciamo tante ricerche per trovare cure per le malattie gravi, che molto ci si è impegnati a combattere la tragedia della pandemia, dalla quale – speriamo – siamo appena usciti, ma che non riusciamo a eliminare la guerra, una pazzia.

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