Il 26 novembre, a 50 anni dalla scomparsa del beato fondatore della Famiglia paolina, Messa con l'Arcivescovo a Cinisello Balsamo. Sulla mission dell’annuncio con i media più moderni parla don Rizzolo, direttore di «Famiglia cristiana»
di Annamaria
BRACCINI
«Il carisma della Famiglia Paolina è, per usare un’espressione del fondatore, “portare il Vangelo agli uomini di oggi con i mezzi di oggi”. Agli uomini di oggi significa che non si tratta di una comunicazione e di un’evangelizzazione in astratto, ma di qualcosa di concreto che tiene presente la realtà contemporanea. È questa la sorgente fondamentale che ha spinto Giacomo Alberione, quando non aveva nemmeno 16 anni, a impegnarsi nella sua impresa». Don Antonio Rizzolo, amministratore delegato del Gruppo Editoriale San Paolo e direttore di Famiglia cristiana sintetizza con queste parole la mission che anima il Gruppo nelle sue diverse articolazioni, a 50 anni dalla morte dell’oggi beato Giacomo Alberione (26 novembre 1971).
Il fondatore ebbe uno spirito in anticipo sui tempi…
Sì. nella notte che divideva due secoli, tra il 1900 e il 1901, era in preghiera davanti al Santissimo nel Duomo di Alba. Lì si rese conto, considerato che vi erano molte realtà che adoperavano quelli che allora erano chiamati «i nuovi mezzi del male», che invece quei mezzi potevano essere utilizzati per far penetrare il Vangelo tra la gente. Nel testo autobiografico Abundantes divitiae gratiae suae, rievocando quella notte, scrisse di essersi sentito profondamente obbligato a fare qualcosa per il Signore e per gli uomini del nuovo secolo con cui sarebbe vissuto. E volle farlo con i mezzi, appunto, che aveva a disposizione, dell’«oggi» del suo tempo. Infatti, la Famiglia Paolina non ha temuto e non teme di utilizzare per il Vangelo tutto quello che il progresso dell’umanità mette a disposizione a livello di cultura della comunicazione e dei suoi strumenti come, attualmente, l’universo digitale o, come viene chiamato, il continente digitale. Il riferimento centrale è che non si tratta semplicemente di annunciare qualche verità o un insieme di dottrine, ma di dare al mondo Gesù Cristo. Per questo don Alberione usa l’espressione tratta dal Vangelo di Giovanni, «Via, Verità e Vita» che compendia tutto il Cristo in cui l’uomo trova la salvezza, la felicità e la risposta a ogni domanda.
Una delle frontiere che la comunicazione oggi pone – e che si poneva anche ad Alberione, ovviamente in modi diversi – è l’essere creativi. Come essere creativi nel solco di una tradizione così importante senza tradire il carisma fondamentale?
Penso che questo sia possibile con una visione come la sua, realistica ma allo stesso tempo positiva, basata sulla fiducia in Dio. È facile mettere in evidenza le cose che non vanno e le manipolazioni che vengono operate: penso alla realtà digitale, ai social, alle espressioni della tecnologia in cui tutti siamo immersi, volenti o nolenti. Alberione, pur consapevole delle problematiche alle quali metteva di fronte specie la stampa, ai suoi tempi, pensò sempre che tutto potesse essere utilizzato per il Vangelo. Questa fiducia credo che sia fondamentale anche per noi oggi, spesso tentati dal pessimismo. Il fondatore, inoltre, dava anche molta importanza al lavoro: veniva da una famiglia povera, che lavorava i campi e sapeva quanto fosse importante rimboccarsi le maniche, perché se non ci si impegna, non si può essere creativi. La creatività fondamentale, insomma, deriva non dalla grandezza del messaggio, ma dalla persona di Cristo da annunciare con convinzione.
Sono tante le immagini di Alberione con in mano Famiglia cristiana, che il prossimo 25 dicembre “compirà” 90 anni. Scrisse Alberione: «Famiglia non dovrà parlare di religione cristiana, ma di tutto cristianamente». C’è bisogno di dire ancora una parola da cristiani in questa società e si può essere ancora ascoltati?
Penso che non soltanto si possa, ma si debba far sentire la nostra voce, anche se magari può sembrare una «voce che grida nel deserto». Al di là della parte concreta, pratica della comunicazione, di tutte le strumentazioni più moderne utilizzate per l’evangelizzazione, Alberione ci ha trasmesso la dimensione personale, vitale di cui lui è stato un grandissimo esempio. Citava spesso la frase di san Paolo, che considerava il vero fondatore. «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Questo è il fondamento per poter arrivare a tutti e parlare di tutto cristianamente. Vale per i Paolini e Paoline, ma anche per la Chiesa intera: se non si fa esperienza vera di Cristo, è difficile comunicarlo e annunciarlo.
Di quali realtà si compone oggi la Società San Paolo?
La Società è diffusa in tutti i continenti: siamo in Congo e Nigeria, in India e nelle Filippine, in Messico e Colombia. Don Valdir José De Castro è il nostro Superiore generale ed è brasiliano. Il Gruppo Editoriale San Paolo è la struttura societaria in Italia e ha diverse divisioni: le più importanti sono i Periodici, le Edizioni e Multimedia. C’è poi Diffusione San Paolo che è la parte commerciale.
Alberione non poteva scegliere un nome migliore alla sua Congregazione: si dice che se san Paolo tornasse tra noi , farebbe il giornalista…
È una frase attribuita a monsignor Wilhelm Emmanuel von Ketteler, che Alberione stesso riprendeva ogni tanto. Il fondatore, che aveva meditato a lungo sulla Lettera ai Romani, scelse san Paolo per la sua universalità, per il suo arrivare a tutti, senza distinzione di popoli, di Paesi, di modi, di tempi. Non a caso, il nostro beato di lui scrisse: «Gli parve veramente l’Apostolo, dunque, ogni apostolo e ogni apostolato potevano prendere da Lui».