Ricordiamo il prelato scomparso un anno fa (12 maggio 2020), pubblicando la postfazione dell’Arcivescovo al volume «”Il cuore parla al cuore”. Trenta voci per il cardinale Renato Corti»
di monsignor Mario
DELPINI
Arcivescovo di Milano
Il 12 maggio dello scorso anno moriva il cardinale Renato Corti. Per gentile concessione dei curatori Roberto Cutaia e Matteo Albergante, lo ricordiamo pubblicando la postfazione di mons. Delpini al volume «Il cuore parla al cuore». Trenta voci per il cardinale Renato Corti con invito alla lettura di monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara (Edizioni Rosminiane, 164 pagine, 10 euro).
Il cardinal Corti, il nostro indimenticabile don Renato, era un uomo dai molteplici interessi e dalle molte attenzioni. Si mostrava sempre attento a tutto ed era animato, forse quasi ossessionato, dal desiderio di raccogliere tutto, di imparare sempre, di meditare ogni parola, di trascriverla, di custodirla. Era attento a tutto, ma pareva indifferente a ciò che riguardava lui personalmente. Gli elogi e le lodi sembravano scivolar via sul suo sorriso distaccato e accondiscendente. Sono quindi persuaso che non avrebbe certo apprezzato un panegirico.
Credo invece che gli sarebbe giunta gradita una condivisione, o almeno una sottolineatura, di ciò che gli stava a cuore, di ciò che più intensamente pensava, di quanto per lui era davvero essenziale. Che cosa dunque?
Il Vangelo. Il Vangelo e la sua serietà. Il Vangelo e la sua verità perentoria, ardua, indiscutibile. Il Vangelo, annuncio prima che argomentazione, non però senza argomentazioni; parola fatta carne, prima che discorso, non però senza discorsi; vita, prima che pensiero, non però senza pensiero; dramma, prima che teologia, non però senza teologia.
Vangelo ricevuto, prima che predicato; Vangelo pregato; Vangelo incarnato, in una carne scavata, segnata.
Il Vangelo principio critico. Carica profetica. Ingresso nel mistero. Sempre come all’inizio. Inesauribile. Cerca ancora! Ascolta ancora! Non moltiplicazione di parole. Intensità dell’esperienza che la parola può alludere e che il silenzio rende feconda o piuttosto ardente. Chi sa se dicono di più le parole o le pause?
Il Vangelo come un imperativo, piuttosto che un libro.
Il Vangelo come responsabilità dei credenti nei confronti del mondo.
L’ammirazione per Charles de Foucauld: piccolo fratello del Vangelo.
L’intesa o piuttosto una sintonia profonda con il card. Carlo Maria Martini, che entra a Milano e porta in mano il Vangelo.
Il ministero sotto il segno di un “guai”: guai a me se non evangelizzo.
Il testamento per fare sintesi di una vita. «Veramente posso dire che, se vivo per il Vangelo, ancor prima vivo del Vangelo».
Il Vangelo nell’accezione paolina. Quindi come un messaggio essenziale, tagliente, esigente. La percezione drammatica della vicenda umana posta di fronte all’alternativa radicale: o la vita o la morte. Però mentre è offerta la vita e vinta la morte. L’imporsi della radicalità che non tollera ambiguità, tempi di inerzia, parole sprecate nelle chiacchiere. Insofferenza verso le scorie.
Il Vangelo come la questione seria; non però lo stile serioso, bensì la letizia invincibile della verità buona.
Il Vangelo che urge la decisione: non però nell’impazienza o nell’affanno di un imminente giudizio, ma nello slancio della adesione appassionata che non tollera ritardi.
Il Vangelo nella semplicità del sì e del no: non però l’intolleranza incalzante, piuttosto la sollecitudine premurosa di chi sa il prezzo di una vita e vuole che nulla vada perduto.
Il Vangelo come spada affilata: non ignora la complessità, ma la distingue dalla confusione; pratica la pazienza, ma non l’accondiscendenza; pone con chiarezza di fronte alle responsabilità non per pretendere qualche cosa, ma per far percepire la stima e l’attesa.
Il Vangelo come dono per tutti. Non proprietà della Chiesa, non materia riservata al clero, non patrimonio da conservare.
Piuttosto lampada accesa per fare luce nella storia. Piuttosto fonte d’acqua viva perché la gente non muoia di sete. Quindi missione. Altri. Altrove. Ancora. Ancora.
La vecchiaia non è una buona ragione per sottrarsi alla missione. La malattia non è una buona ragione per rinunciare alla predicazione. La fragilità non è una buona ragione per deporre il peso e negarsi a una occasione di Vangelo.
Il ministero del cardinal Corti, a motivo delle responsabilità che lo connotavano, si è dipanato in diversi ambiti, e lo ha messo in contatto con molte persone con relazioni qualificate nelle quali si è messo in gioco secondo lo stile che trovava degna espressione nel suo stesso motto: cor ad cor loquitur.
Ma per riassumere la sua assidua e mirabile dedizione, credo che basterebbe una sola parola: il Vangelo.