Nel documento «Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale», curato dal Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita, un dono e un compito per tutta la comunità cristiana

di don Luigi GALLI STAMPINO
Collaboratore del Servizio diocesano per la Famiglia

matrimonio

Un mio saggio maestro di quando, tanti anni fa, studiavo teologia, parafrasando il Vangelo secondo Luca, diceva: «Può darsi che quando Gesù tornerà sulla terra non troverà più la fede, ma certamente troverà un numero sterminato di documenti e una marea di sussidi». Con questo paradosso intendeva il rischio che tanta carta stampata tale resta e finisce a prendere polvere in vecchie librerie.

Ebbene, un rischio del genere il recente documento vaticano Itinerari Catecumenali per la vita matrimoniale (leggi qui) non deve proprio correrlo. Non tanto perché contenga grandi novità di pensiero e di proposte, quanto perché si presenta come un frutto concreto di Amoris Laetitia e diventa quasi un grido e una supplica a «dare inizio a processi di rinnovamento» (dalla prefazione di papa Francesco). Per questo mi sembra prioritario parlare di alcune precondizioni che, a mio parere, sono indispensabili per non consegnare il suddetto documento alla libreria polverosa.

Convertire il cuore

La prima condizione è una profonda e urgente conversione del cuore. Chi si dedica alla pastorale matrimoniale e familiare sa benissimo che c’è un doveroso recupero da fare; un recupero teorico e pratico per ridare al Sacramento del matrimonio il posto che gli compete nella vita delle comunità ecclesiali.

Il matrimonio deve uscire dallo stato di minorità in cui è rimasto relegato nei secoli passati e, in buona parte, lo è ancora. Il matrimonio non è un cammino di santità meno esaltante e fruttuoso della vita consacrata e di quello di quanti ricevono il sacerdozio ministeriale. Nei secoli la grazia del matrimonio ha contribuito alla santità della Chiesa. Il sacramento dell’amore, vissuto nella pienezza della carità, ha fatto crescere la santità della Chiesa.

Un atto d’amore e di giustizia

La seconda condizione ce la consegna con chiarezza papa Francesco nella prefazione: «La Chiesa è madre, e una madre non fa preferenze fra i figli. Dedicare tempo è segno di amore: se non dedichiamo tempo a una persona è segno che non le vogliamo bene. Questo mi viene in mente tante volte quando penso che la Chiesa dedica molto tempo, alcuni anni, alla preparazione dei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa, ma dedica poco tempo, solo alcune settimane, a coloro che si preparano al matrimonio». Se vale il criterio espresso dal Papa, bisogna riconoscere che la Chiesa non ama abbastanza il matrimonio e le persone che lo celebrano.

Dunque ci vien chiesto un atto d’amore e di giustizia. Questo è il motivo forte per non sottrarsi alla conversione che questo documento ci chiede.

Un cammino impegnativo

La terza condizione è la conseguenza della seconda. Sempre papa Francesco nella prefazione ci dice che questo documento è «un dono e un compito»; è un dono perché si tratta di valutare ed eventualmente recepire esperienze già messe in atto in varie parti del mondo; è un compito perché ci vengono presentati «orientamenti che chiedono di essere recepiti, adattati e messi in pratica nelle concrete situazioni sociali, culturali ed ecclesiali nelle quali ogni Chiesa particolare si trova a vivere».

Come si vede, emerge con chiarezza l’impegnativo cammino che ci sta di fronte; è una chiamata che riguarda tutti nella comunità cristiana: sposati e non, battezzati preti e battezzati non preti, operatori di pastorale familiare ed educatori dei fanciulli e dei giovani, persone consacrate. Può partire un grande cantiere. Un lavoro che diventerà un vero un atto di carità verso il mondo che annaspa pieno di contraddizioni quando si parla d’amore.

Castità e sessualità

Una delle parti del documento che ha suscitato una immediata attenzione dei mass media, con commenti improntati a una boriosa sufficienza e a una tragica ignoranza, è quella in cui si parla della castità da vivere prima del matrimonio e anche nel matrimonio. Certo, su questa tematica la Chiesa deve riscattare uno stile improntato a paura e a un moralismo che, più che far correre l’amore, lo faceva incespicare. Ma ora il clima è cambiato. La sessualità è un dono di Dio e parla di lui; non è diabolica e pericolosa; la castità è la preziosa virtù che permette all’amore di crescere. La castità restituisce alla sessualità il suo onore e la sua libertà. Oggi si sta diffondendo in modo epidemico una visione del sesso sganciata dalla persona. Non si dice «io sono corpo», ma «io ho un corpo» e lo uso come mi pare e piace. Una sessualità senza una vera relazione personale, cioè senza un amore che liberamente si lega per donare e non solo per prendere, è destinata a far soffrire e presto si svela destinata a morire.

Qui, e il documento ne parla, la Chiesa ha una entusiasmante missione da compiere. Soprattutto i giovani, pur vivendo grandi difficoltà e sofferenze, istintivamente non si rivolgono al Vangelo; lo temono perché pensano che porti sole brutte notizie e tante proibizioni incomprensibili. Eppure il Vangelo è annuncio gioioso che viene da Dio che diventa corpo umano. Ci vorrà tempo, tanto tempo, perché si cancelli dalla percezione diffusa questo vangelo rovesciato. Ma la luce del bell’amore testimoniato dagli sposi, accompagnati nella loro maturazione con materna e misericordiosa premura dalla Chiesa, attirerà molte persone al Vangelo del Matrimonio.

I tempi sono maturi e ognuno deve dare il suo contributo. Si sente dire spesso che viviamo un «tempo da lupi». Non è vero; questo è un tempo da cristiani liberi, coraggiosi e pieni di Spirito santo.

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