Alla vigilia dell’incontro del «Meazza», don Stefano Guidi, direttore della Fom, riflette sul diffuso fenomeno dell’abbandono della vita parrocchiale dopo la Cresima: «Rimanere non può essere dato per scontato, dobbiamo qualificare le nostre proposte, soprattutto in termini di ascolto e accompagnamento, e valorizzare la dimensione del servizio»
di Annamaria
Braccini
«Un fenomeno complesso da interpretare e da approfondire, anche perché si innesta in un’età molto particolare». Don Stefano Guidi, direttore della Fom e responsabile del Servizio per l’Oratorio e lo Sport, definisce così il trend, indiscutibile, dell’abbandono della vita parrocchiale, da parte di molti ragazzi. Nel momento in cui torna, attesissimo, l’incontro dei cresimati e cresimandi con l’Arcivescovo (leggi qui), non si può che riflettere anche su questo tema, al di là del momento di festa con la presenza di migliaia e migliaia di adolescenti che affolleranno gli spalti di San Siro.
Qual è la ragione del non riuscire più a intercettare i ragazzi dopo la Cresima?
Sempre di più in età giovanile i cammini di fede prevedono quelle che vorrei definire delle porte girevoli, con entrate e uscite continue. La logica della permanenza costante è sempre meno praticata. Questo sicuramente ci interpella, ci provoca a qualificare le esperienze che viviamo e proponiamo loro, a non dare per scontato che il rimanere nella frequentazione della comunità cristiana possa essere un cammino naturale per tutti. L’importante è che coloro che rimangono si sentano “mandati” a coloro che si sono allontanati. Questa è una responsabilità che riguarda ognuno di noi: non pensare che la Chiesa sia una comunione chiusa, ma una comunione di inviati.
In questo anno dedicato agli adolescenti, si è messo a fuoco anche tale aspetto, magari pensando a itinerari innovativi?
Occorre riconoscere che questo è stato un anno di grande fantasia e creatività. Devo dire che i cammini differenziati non nascono da progetti teorici, ma dall’ascolto delle persone. A essere diversificata è, anzitutto, la situazione degli adolescenti e dei preadolescenti che incontriamo, anche perché i due anni di pandemia hanno lavorato in maniera diversa sulla personalità e sul carattere di ciascuno. La comunità si interroga su come accompagnare queste differenze che devono essere accolte, custodite e anche valorizzate. Non si tratta di progettare a tavolino delle proposte, ma di rendersi duttili, plastici di fronte a situazioni personali che continuano a cambiare, sapendo che c’è una sorta filo rosso che lega molte problematiche e le risposte da offrire: gli adolescenti sono portatori, oggi, di una richiesta di socialità non superficiale.
Forse non è un caso che assistiamo anche ad altri gravi ritiri giovanili, come quello scolastico…
I due abbandoni sono facce di uno stesso fenomeno. Noi ci troviamo di fronte a due estremi: o a espressioni particolarmente violente, con l’esplosione della dimensione del branco, delle baby gang, o alla rinuncia sociale del singolo. Entrambi i comportamenti nascondono un sommerso, talvolta, di vero e proprio disagio, che si manifesta molto spesso in un atteggiamento di dispersione, potremmo dire, complessivamente esistenziale. Tutto questo non deve essere assunto come un dato assoluto. Se guardiamo al mondo degli adolescenti, ci accorgiamo che le fragilità fisiologiche, dettate anche dall’età, possono diventare molto serie, possono spaventare e, purtroppo, sono quelle che fanno notizia. Ma c’è una gran parte di ragazzi che sperimentano la fatica, trovando in loro le energie per affrontarla e per aiutare i coetanei.
Che ruolo ha l’oratorio?
È fondamentale perché diventa quel luogo dove, pur nella difficoltà, si può aiutare qualcuno e nessuno è un “assistito”. Noi crediamo – ed è tutta la grande esperienza dell’animazione estiva – che sia proprio il servizio la chiave che fa scoprire all’adolescente di non essere solo un insieme di problemi, ma di risorse.