Redazione
Si è tenuta martedì 20 marzo la quarta catechesi quaresimale dell’Arcivescovo dal titolo “La famiglia nella prova”. Il cardinal Tettamanzi ha parlato dei rischi di chiusura e di crisi che può provocare una sofferenza in famiglia, ma anche dell’aiuto che il Signore può dare se lo si invoca per affrontare i momenti difficili.
di Luisa Bove
«Se volessimo raccogliere tutte le testimonianze sulle prove che toccano le famiglie non finiremmo mai», esordisce il cardinale Dionigi Tettamanzi iniziando la quarta catechesi quaresimale di quest’anno. «Spesso i mali entrano tutti insieme, uno dopo l’altro, senza che noi ce lo aspettiamo». Sembra parlare per esperienza personale l’Arcivescovo di Milano, ma di una cosa è certo: «Nessuna famiglia è esente dalle prove».
Se da una parte però la prova, quando colpisce un membro della famiglia, è condivisa («portata in due è più leggera e sopportabile») e può «intensificare di più l’unione tra marito e moglie, tra genitori e figli», dall’altra può anche generare «crisi» e addirittura «divisione». Eppure ogni esistenza «è un miscuglio di gioia e di dolore, di serenità e di fatica, di salute e di malattia, di vita e di morte». C’è però una parola, che impegna tutti gli sposi cristiani, da quando sull’altare hanno detto: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia».
Ricordando la figura del buon samaritano, il cardinal Tettamanzi, raccomanda a tutti «la capacità di fermarsi», che nel contesto di oggi sembra «più difficile» e chiede «coraggio». Tuttavia per ascoltare prove e sofferenze non bastano le orecchie, occorre «il cuore», ma è anche importante «lasciarsi coinvolgere», avere «compassione».
«Il rischio che la famiglia corre è di chiudersi in se stessa», continua l’Arcivescovo, «e così gli altri finiscono per dare fastidio ed essere rifiutati». La prova quindi «isola dagli altri», ma è pur vero che non è facile dare una risposta a chi soffre ed è schiacciato da una prova; a volte resta solo «il silenzio». Di fronte alle difficoltà della vita agiscono due forze contrapposte: una che porta a chiudersi in se stessi e l’altra che ci fa implorare, chiedere ascolto, vicinanza, condivisione.
Anche Gesù si è trovato ad affrontare una situazione di prova in famiglia: la morte di Lazzaro, fratello amato di Marta e Maria. Quello che le due donne chiedevano a Gesù era la sua presenza e solidarietà. Tettamanzi cita la lettera “Salvifici doloris” di Giovanni Paolo II, che parla addirittura di «buona notizia della sofferenza» perché «è una realtà capace di sprigionare amore, attenzione, sensibilità, vigilanza, presenza, aiuto». L’Arcivescovo descrive questi atteggiamenti con una semplice parola: «solidarietà». Il buon samaritano, scrive il Papa, «non si ferma alla sola commozione e compassione, queste diventano per lui uno stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all’uomo sofferente».
Il Cardinale va oltre e affronta anche il tema della fede, quindi del «rapporto con Dio». E si chiede: «Dio ascolta? Condivide la nostra prova, la nostra malattia, la nostra sofferenza?». «Voi stessi», dice rivolgendosi a Lidia e ai coniugi Bergamini, «siete stati sostenuti da questa convinzione: “Dio non ci abbandona, ci è vicino, ci sostiene, ci prende per mano”». Nei momenti di prova è importante non dimenticare «la preghiera», questo vale «in particolare per le persone sole, abbandonate, provate, disperate, gli ammalati, i bambini…». Ma si sa, non tutti «hanno il coraggio di pregare», ammette l’Arcivescovo.
Non è stato così per Gesù, che nell’Orto degli ulivi, nel momento della prova ha detto: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice», mentre sulla croce ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Se Gesù ha potuto rivolgersi così al Padre, «voi, carissime famiglie che avete una prova e siete attraversati dalla malattia, che avete sulle spalle e nel cuore una sofferenza» non dovete «spaventarvi delle vostre reazioni, anche le più strane». L’Arcivescovo quindi incoraggia tutti a non arrendersi di fronte alla malattia e alla sofferenza, ma a chiedere una fede più grande, perché «Dio non è lontano, ma vicino» e può far «intravedere il futuro che va oltre la prova».