Presso la sede della Comunità Kayrós tavola rotonda su «Le sfide dell’educare. Nuove buone pratiche», con don Stefano Guidi, don Claudio Burgio, Massimo Achini e Luciano Gualzetti
Coraggio, fiducia, dialogo, gioco di squadra, comunità. Sono le parole ritornate più spesso nel corso della tavola rotonda, svoltasi nella serata del 21 febbraio presso la Comunità Kayrós a Vimodrone, organizzata dalla Fom e sostenuta dalla Cordata educativa della Diocesi. Al dibattito su «Le sfide dell’educare. Nuove buone pratiche», con riferimento ai “ragazzi dentro” e ai “ragazzi fuori”, moderato dalla giornalista de Il Segno Luisa Bove, hanno assistito una settantina di persone tra educatori, animatori e allenatori sportivi.
Di fronte all’emergenza educativa, che il Covid ha solo accentuato, si conferma che i ragazzi con disagio sono ovunque, «anche in oratorio», ammette don Claudio Burgio, fondatore della Comunità Kayrós, che ospita minori e giovani che provengono dal circuito penitenziario. Ai molti educatori che dicono: «Non ce la facciamo, non abbiamo gli strumenti», Burgio suggerisce «di avventurarsi, creare un ponte, dialogare con tutti». E avverte: «Occuparsi dei ragazzi difficili deve essere una scelta pastorale».
Alleanza e fiducia
Certo l’oratorio «non è per tutti – dice don Stefano Guidi, direttore della Fom -, è una delle risposte, non l’unica». Ma quello che si può fare «è stringere alleanze e cercare insieme le risposte», perché la comunità cristiana deve prendersi cura di tutti. Lo stesso sport può essere la strada giusta per tanti ragazzi. E non c’è dubbio che «l’allenatore è già in una posizione privilegiata», spiega Massimo Achini, presidente del Csi (Centro sportivo italiano) di Milano. Per questo il “mister” non deve perdere l’occasione preziosa di educare, ma a due condizioni: «Prendere sul serio i ragazzi e proporre sfide alte». Come? Dando «fiducia». Achini lo ha fatto, allenando sia al carcere minorile Beccaria, sia tra le mura di San Vittore.
«I ragazzi che “si buttano via” cosa dicono all’oratorio?», si chiede Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana. Sono una provocazione, che va raccolta. E per evitare la detenzione, che – come diceva il cardinale Martini . deve essere l’extrema ratio, Gualzetti ha firmato alcune convenzioni con gli istituti di pena per far sì che i minori non finiscano in carcere. Nell’ultimo anno la Caritas ha accolto 60 persone “messe alla prova” che hanno svolto lavori socialmente utili «nei centri di ascolto, nelle mense dei poveri, ma anche in ambiti educativi».
Famiglie assenti o troppo presenti
Ma sia chiaro, se un ragazzo commette un reato, non è sempre colpa dei genitori. È l’esperienza diretta di don Burgio, che ha conosciuto ottime famiglie con i figli “dentro”. Oggi il sacerdote riconosce due categorie: «assenti» per mille motivi (separazioni, lavoro a tempo pieno, povertà economica), per cui i figli sono abbandonati a loro stessi; «iperprotettive», quindi troppo presenti e che pretendono prestazioni scolastiche sempre al top. Quello che si può fare è «non lasciarle sole». Per questo, una volta al mese, apre le porte di Kayrós e accoglie le famiglie a cena, un’occasione di confronto e sostegno reciproco. Gli fa eco don Guidi, che insiste sul «lavoro di squadra» come «punto di forza dell’oratorio e della parrocchia». Non chiede ai “suoi” educatori requisiti particolari, ma capacità «di lavorare insieme, di camminare insieme». Questo vale anche per Achini, che auspica «non società sportive, ma comunità sportive».
Gualzetti, incalzato dalla moderatrice, parla di giustizia riparativa, perché la pena non può essere tutto. Il reo soffre quando finisce in carcere, «ma anche la vittima rischia di restare intrappolata nel desiderio di vendetta, prova rabbia e rancore». Allora incontrarsi, parlarsi, ascoltarsi, guardarsi come persone può aiutare entrambi.
La parola d’ordine della serata è una sola: camminare insieme. Tutti. Tra realtà educative (Fom, Csi, Caritas, Kayrós…), educatori, animatori, allenatori, famiglie, perché per ogni ragazzo ci sia chi lo ascolta, lo accoglie e gli dà fiducia. A tanta «umanità», neppure il ragazzo difficile volterebbe le spalle.