In Diocesi la presenza di forme claustrali è in calo e aumenta l’età media di religiose e religiosi. «Ma la testimonianza resta intatta, ricca di spiritualità, e contribuisce anche alla “Chiesa dalle genti”», osserva monsignor Stucchi
di Annamaria
Braccini
«Senza dubbio la presenza di chi sceglie di vivere in clausura sta diminuendo e, di pari passo, aumenta l’età media di religiose e religiosi claustrali. Ma la forza della loro testimonianza è sempre intatta, continuando ad attirare anche persone giovani». Monsignor Luigi Stucchi, collaboratore del Vicario episcopale per la Vita consacrata, fotografa così, in estrema sintesi, la situazione dei monasteri di clausura in Diocesi.
Quanti sono i monasteri in Diocesi?
Attualmente sono 13 i monasteri femminili, per un totale di poco più di 200 monache, e 4 i maschili. È interessante notare che, come accade per altre realtà, anche i monasteri sono oggi – diciamo così – “laboratori di multietnicità”, con religiose provenienti dall’Africa. Per esempio in due monasteri la maestra delle novizie è di origine africana, come le ragazze che sono in cammino di formazione. È un tratto inconfondibile, anche per la clausura, della Chiesa dalle genti.
Questo tipo di vita religiosa è in crisi?
Non più di altre forme. Anzi, in alcune congregazioni abbiamo osservato un crescere delle vocazioni alla clausura. Ma in generale il calo c’è. Proprio tra pochi giorni, il 6 febbraio, verrà celebrata una Messa per la chiusura a Gallarate del monastero delle Benedettine, che si riuniranno alle consorelle di Grandate, in diocesi di Como. Inoltre, sempre di recente, le Passioniste non sono più nel convento di Gornate Olona. Non possiamo poi dimenticare che anche uno dei monasteri più celebri di Milano, quello di Santa Maria della Visitazione, presente da ben tre secoli nel cuore della città, ha chiuso, con il trasferimento altrove delle ultime quattro suore rimaste.
Insomma, come ha detto anche papa Francesco il 25 marzo 2017, incontrando in Duomo le diverse realtà di vita consacrata, la situazione è difficile, ma non bisogna scoraggiarsi…
Senza dubbio. Le difficoltà non mancano per questioni di numeri, di età, di gestione delle Case, ma occorre riconoscere che all’interno dei monasteri la vita è densa di spiritualità e di entusiasmo, come posso testimoniare personalmente, e che tante persone, anche in età adulta, sono tentate dalla decisione di entrare in convento. Il ruolo prezioso della preghiera, della vita contemplativa, del lavoro è una ricchezza per tutta la comunità cristiana: basti pensare all’Ora et Labora benedettino, agli studi di tante monache e monaci, al contributo di sostegno portato alla gente, magari per telefono o collegamento da remoto, che si è realizzato in questo tempo di pandemia, anche dalle clausure.
La clausura è una scelta radicale, che a taluni appare anacronistica. Ma continua a essere uno dei “sali della terra”?
Si, anzi è uno dei cuori più fecondi dell’essere cristiani. Irradia, nel silenzio e senza pretese, gioia e serenità, forza e annuncio del Vangelo anche nel mondo di oggi, che, forse inconsciamente, cerca risposte certe e chiare. È ovvio che non può essere una scelta adatta per tutti, ma dalla sua esemplarità chiunque può trarre un insegnamento di come si possa fare concretamente del bene anche essendo distanti dal mondo, ma non per questo estranei alle sorti delle donne e uomini che vi abitano. È una missio ad gentes – non dimentichiamo che copatrona delle missioni è Santa Teresa di Lisieux, entrata in Carmelo a 15 anni e morta a 24 – che non conosce limiti, perché la preghiera non ha confini.
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