Redazione

Nell’omelia pronunciata a Venegono durante la tradizionale “Festa dei fiori”, in cui si festeggiano le ricorrenze delle ordinazioni sacerdotali, il cardinale Dionigi Tettamanzi, che era tra i festeggiati, ha ricordato – in alcuni passaggi – i suoi anni in Seminario: prima da chierico e poi da docente. Due anni dopo l’ordinazione don Dionigi torna in seminario come docente.

di Dionigi Tettamanzi

Rapidissimo sarò nel riferire dei ventotto anni di insegnamento in seminario come docente di teologia. Davvero grandi e belli mi sono stati la testimonianza di vita e l’influsso di pensiero dei docenti di seminario che il Signore ha messo sulla mia strada, sia prima di diventare sacerdote che in seguito. Li ho sentiti e amati, proprio nel loro specifico ruolo di docenti, come veri preti e come intelligenti educatori, coralmente partecipi del pensiero radicato nella tradizione di una scuola teologica ambrosiana e insieme aperto alle novità della storia.

Ho sperimentato e vissuto la docenza in anni belli e impegnativi, talvolta faticosi e comunque affascinanti: quelli dell’immediata vigilia del Concilio, della sua celebrazione e soprattutto del lungo e denso periodo postconciliare. L’intera teologia veniva fortemente interpellata dal Concilio e dalla sua concreta applicazione, in particolare la teologia morale, il cui insegnamento mi era affidato.

Devo confessare che l’ispirazione profonda e la guida sicura nell’approccio e nella ricerca di una risposta ai problemi più difficili e complessi mi sono venute dalle parole di Paolo VI che nell’enciclica Humanae vitae rivolgeva ai sacerdoti: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone. Nelle loro difficoltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel cuore del sacerdote l’eco della voce e dell’amore del Redentore» (n. 29).

Un valido aiuto per questa prospettiva mi è venuto dalla Scuola di Venegono, sempre attenta alla parte storica dei vari trattati teologici – e la storia è un misto di immutabilità e di mutabilità – e dall’agire pastorale concreto e quotidiano, che ti fa “realista”, decisamente appassionato della verità, sempre però percorrendo nell’amore la strada umana della gradualità.

Basti così. Del resto quanti sono stati studenti alle mie ore scolastiche o dei miei scritti possono loro invertire le parti: essere cioè i professori che mi esaminano e mi giudicano. Spero solo di essere riuscito nelle mie lezioni a far trasparire, almeno un poco, il mio amore per Cristo e per le anime che proprio attraverso la scuola lui mi affidava.

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