In Cattolica, alla presenza dell’Arcivescovo, convegno promosso da “Aiuto alla Chiesa che soffre” con l’Arcidiocesi e l’ateneo
di Annamaria
Braccini
Guardare alla Chiesa che, in tante parte del mondo, soffre persecuzioni e umiliazioni con com-passione, un “sentire insieme” che sappia andare oltre la semplice emozione e la notizia del giorno. Per questo – come dice -, l’Arcivescovo partecipa al Convegno, “Libertà religiosa nel mondo. L’indifferenza della comunità internazionale”, promosso dalla Fondazione di Diritto Pontificio, “Aiuto alla Chiesa che soffre”, unitamente all’Arcidiocesi e all’Università Cattolica, dove si svolge l’incontro.
«La situazione geopolitica pone un problema serio di sofferenza nella Chiesa. È vero, la Chiesa è nata nella sofferenza e nella persecuzione, ma ci viene ricordato che esistono realtà di tragica sofferenza anche oggi. San Giovanni Paolo II ha detto, giustamente, che la Chiesa è ritornata a essere una Chiesa dei martiri; papa Francesco dice di essere convinto che vi siamo più martiri cristiani nell’attualità che nei primi secoli: lo confermano i numeri. Queste sono cose da insegnare e tutto ciò ha a che fare con l’ispirazione formativa dell’Università Cattolica», spiega il rettore dell’Ateneo, Franco Anelli, nel suo saluto iniziale.
La sfida, la «scintilla di speranza» nell’Università come luogo di resistenza culturale, sta, insomma, nell’avere la forza di riflettere su questi temi, come auspica, appunto, il vescovo Mario che esprime apprezzamento per la Fondazione e ne incoraggia l’azione di sensibilizzazione e conoscenza dei problemi.
«La Chiesa di Milano è qui per dire che quando una delle membra soffre, tutto il corpo soffre. La mia presenza è una forma di condivisione del soffrire, non solo un desiderio di sapere, ma è l’esperienza della sofferenza condivisa. La sofferenza non è sentita dai cristiani come spegnimento di voci, ma nella logica del seme che muore, ma lascia frutto. Spesso la notizia è scelta esattamente per suscitare un’emozione, mentre “Aiuto alla Chiesa che soffre” ha lo scrupolo della documentazione e fa nascere una compassione, non attraverso notizie che portano a un’emozione, ma mettendo sul tavolo conoscenza, confronto e ricerca di una base di intesa».
Tra il pubblico arriva anche monsignor Giorgio Bertin, vescovo a Mogadiscio e amministratore apostolico di Gibuti.
Alessandro Monteduro, direttore di Acs nazionale, da parte sua, sottolinea: «Esiste una persecuzione esplicita e un’altra, che subiamo nella nostra realtà e che papa Francesco definì nel 2016 moderna, educata, travestita di progresso e di cultura. Oggi sono 38 i Paesi nel mondo in cui la libertà religiosa soffre e 4 miliardi le persone che vivono in Nazioni dove la libertà do fede non è garantita. In 21 di queste, la persecuzione è estrema come in Somalia, Nigeria, Arabia Saudita».
Tutto questo significa, evidentemente, che la fede è in pericolo, ma per colpa di chi?.
«All’origine vi sono 2 fenomeni drammaticamente aggressivi: il fondamentalismo religioso, di matrice soprattutto islamica, e, poi, il misconosciuto fondamentalismo nazionalista religioso».
Il problema è di indifferenza colpevole e di mentalità. Ad esempio, in Pakistan non è mai stata eseguita la condanna a morte di un cristiano, ma, magari, si uccide in campo extragiudiziale, da parte di fanatici che non accettano le sentenze.
«L’indifferenza della comunità internazionale e delle istituzioni, è un terzo ceppo virale di odio religioso. L’arrembante laicismo non accetta che, in qualche parte del mondo, si possa morire per difendere la propria fede e si ha paura di non essere politicamente corretti nell’interessarsi e fare cultura su questo. Di fronte a questi ceppi virali, esiste un vaccino: fare risuonare la denuncia, sostenendo le comunità cristiane e offrendo speranza». Così come la Fondazione fa in tutto il mondo illuminando di rosso – con il colore del sangue – grandi monumenti dal Colosseo al Corcovado».
Se il 50% dei cristiani è tornato nella piana di Ninive, mentre nel 2017 non c’era più una Chiesa o un segno di cristianità, forse, si può guardare davvero al futuro.
Riccardo Redaelli, ordinario di Geopolitica e di Storia e Istituzioni dell’Asia in “Cattolica”, spiega: «Uno dei problemi principali è la crescita del settarismo religioso che vede una polarizzazione e politicizzazione dell’identità religiosa. Polarizzazione identitaria, soprattutto nell’Islam, che non è, in verità, una questione religiosa in sé, ma la maschera di uno scontro geopolitico. Spesso le comunità cristiane sono le più fragili in zone come il Medio Oriente, l’Asia e l’Africa subsahariana, perché i cristiani sono i meno settari, eppure sono stati “sale” di quelle terre. Ciò ha lasciato la Chiesa molto più esposta».
«Tutta la persecuzione contro i simboli, può avvenire perché, a parole, in molti di questi Paesi esiste la tolleranza. Bisogna, invece, non essere tollerati, ma ottenere il rispetto e poter stare negli spazi pubblici. Dovremmo essere noi a chiedere una dimostrazione di rispetto per i cristiani di quelle terre. Ma, in Europa, su questo siamo reticenti».
L’intervento del cardinale Coutts
Infine, è l’arcivescovo metropolita di Karachi (prima Pastore la Lahore e Islamabad), Joseph Coutts membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, a portare la sua attesa testimonianza.
«Nella Repubblica islamica del Pakistan – così si chiama ufficialmente – , ci sono 3 milioni tra cattolici e protestanti su più di 200 milioni di abitanti. Siamo minoranza, ma non nascosta o silenziosa. Attraverso le nostre Chiese e le Istituzioni cristiane, si svolge un’opera importante e riconosciuta anche dai musulmani. Abbiamo libertà religiosa, ma siamo testimoni di una Chiesa sofferente. Dal 1947 il Pakistan è stato indipendente e il Padre fondatore era un musulmano illuminato e moderato: non voleva, certo, uno Stato islamico».
Il pensiero va all’odierna Legge sulla blasfemia, introdotta nel 1986, per cui chi parla contro il profeta Maometto dovrebbe essere condannato a morte e chi profana il Corano, condannato a vita (potrebbe accadere anche se cade, accidentalmente, il libro dalle mani).
«La nostra società non è ancora pronta a gestire il fattore religioso, basti pensare ad Asia Bibi, coraggiosamente assolta da questa accusa, mentre migliaia di persone hanno manifestato contro la sua liberazione».
«Spesso la legge copre motivi di attacco personale e di interesse e quando l’accusato è cristiano, la rabbia si riversa contro l’intera comunità», scandisce Coutts. L’esempio è anche Shahbaz Bhatti – il ministro cattolico per le minoranze ucciso il 2 marzo 2011 -, «ucciso proprio perché si era schierato contro la Legge sulla blasfemia, anche se si era sempre impegnato a difendere le minoranze affinché tutti potessero convivere in pace e in armonia».
«I non musulmani sono considerati non cittadini e subiscono discriminazioni sul lavoro. Nelle scuole statali sono descritti in modo negativo. Noi affermiamo che in uno Stato moderno come il Pakistan, tutti i cittadini sono uguali. Invece, vi sono conversioni forzate, matrimoni obbligati, rapimenti e successive nozze riparatrici di ragazze cristiane o indù, fatte divenire tali. L’Islam wahabita estremista ha guadagnato terreno in Pakistan e vuole trasformarlo in uno Stato unicamente musulmano», conclude il Porporato il cui motto Episcopale è proprio “Armonia” e che ricorda come la sua nomina a Cardinale sia stata accolta con gioia dall’intera comunità musulmana con «molti che ne sono stati orgogliosi».
«Noi lavoriamo assieme alle persone di tutte le fedi, siamo una minoranza attiva che sta contribuendo allo sviluppo del Pakistan. Siamo aiutati da molti con opere di aiuto economico, di sostegno e attraverso azioni di advocacy sul Governo. Abbiamo a Karachi 56 scuole cattoliche frequentate volentieri anche dai musulmani, perché insegniamo la fratellanza e ciò che ci accomuna, essere tutti uomini e donne».