Il direttore della Caritas Ambrosiana: «Se non si ricostruiscono le relazioni familiari si rimane ostaggi del gioco ed è inutile pensare a come rientrare dai debiti»
di Filippo MAGNI
«L’economia del gioco d’azzardo è improduttiva e lo Stato si è legato le mani da solo, dandola in concessione. Eppure molto si può ancora fare per arginare il problema delle ludopatie». È l’opinione di Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, secondo il quale il denaro immesso nelle macchinette, speso con i gratta e vinci oppure online, «genera un’economia falsata in quanto produce benefici solo per pochi industriali e per qualche terminale, piccoli esercizi». Al giocatore dà «soltanto un’esperienza, chiediamoci se positiva o negativa». Il sistema arricchisce anche lo Stato, «ma alla crescita della spesa da parte delle persone, aumentata dalla crisi, rileva il direttore non corrisponde un maggiore guadagno per la cosa pubblica: si ferma intorno ai 9 miliardi l’anno. Cosa ne rimane, considerando il denaro che serve per aiutare le famiglie rovinate dalla dipendenza dal gioco e le persone che devono essere curate dalla ludopatia?».
Solo dall’inizio del 2015 a oggi 50 vittime del gioco a Milano e provincia si sono rivolte alla Fondazione San Bernardino (presieduta da Gualzetti) per risolvere la loro situazione debitoria (mediamente 30 mila euro): ne sono state prese in carico 28. Caritas ha avuto evidenza del fenomeno anni fa. È stata forse tra le prime associazioni ad accorgersene, grazie alle persone che si rivolgevano ai centri d’ascolto in cerca di un aiuto. «Li sostenevamo economicamente, perché erano indebitati – ricorda Gualzetti -. Poi li affiancavamo nel risolvere la loro dipendenza. Abbiamo infine capito che l’approccio deve invece essere inverso: se non si ricostruiscono le relazioni familiari e si rimane ostaggi del gioco, è inutile anche pensare a piani di rientro dai debiti. Si torneranno a prosciugare i conti correnti e a vendere i gioielli di famiglia…».
Oggi, nell’opinione pubblica, la sensibilità sembra maggiore. «È così anche per alcune istituzioni, come la Regione Lombardia, e diversi Comuni tra cui Milano», conferma il direttore. Eppure il gioco è in aumento e crea grandi introiti ai concessionari, il cui unico scopo è aumentare le ore che le persone passano sedute alle macchinette. Obiettivo che si ottiene anche con campagne pubblicitarie massicce: in tv, sui giornali, sui manifesti, sulle magliette delle squadre da calcio. «Si potrebbe partire da qui – propone Gualzetti -: Caritas chiede da anni che questo tipo di pubblicità sia vietato, come avviene per le sigarette, perché colpisce i più deboli. I Comuni più sensibili possono chiedere alle loro concessionarie di non accettarla sui mezzi pubblici e sugli stalli comunali». Non sono ampi gli spazi di manovra nei confronti di aziende che si appellano alla libera concorrenza, ma Caritas non smette di chiedere alle amministrazioni di porre limiti al numero di macchinette, distanza da zone sensibili, riconoscimento della responsabilità dei concessionari quando c’è una patologia da curare. «Possiamo invece lavorare molto sulla prevenzione e sull’educazione – sottolinea il direttore della Caritas -. Ci risulta che alcuni ragazzi inizino a scommettere già a 12 anni: online, dove è più difficile verificare la maggiore età dei giocatori. Nelle scuole spieghiamo loro che l’unico a vincere è il banco e che la vita si affronta contando sul proprio lavoro, non sperando in un colpo di fortuna che non arriverà mai». E le persone, ogni giorno, «possono scegliere di andare a bere il caffé nei bar che non hanno slot. Non sottovalutiamo questo grande potere che abbiamo tutti di sensibilizzare, prevenire, sostenere il tema delle ludopatie».