È una delle raccomandazioni che l'Arcivescovo ha fatto ai membri del Gruppo di Affori, incontrati nel contesto della Visita pastorale al Decanato
di Annamaria
Braccini
Gianluca Ferrando, padre di tre figli, 54 anni, dirigente d’azienda, della parrocchia di San Nicola in Dergano, membro del Consiglio pastorale parrocchiale e di quello diocesano, è tra coloro che l’Arcivescovo ha voluto incontrare, nella sua Visita al Decanato Affori, come moderatore, insieme agli altri membri del Gruppo Barnaba decanale.
Mantenere vivo il “fuoco”
Qual è l’aspetto che più l’ha colpita nella serata che avete vissuto con l’Arcivescovo?
Direi il tono assolutamente colloquiale e accogliente da parte sua. Mi colpisce perché, spesso, si critica l’istituzione Chiesa che, con le sue gerarchie, è lontana dalla vita della gente. Invece nella serata si è realizzata tra noi e l’Arcivescovo un’assoluta vicinanza, sia nei toni, sia nei contenuti dell’incontro. Stiamo facendo un percorso in divenire, una cosa nuova e, in questo, la presenza dell’Arcivescovo è preziosa. Ci ha incoraggiato con suggerimenti anche pratici al fine di propiziare il confronto, nella consapevolezza che l’espressione concreta della vita della Chiesa si manifesta creando un tessuto di comunione.
Cosa si aspetta dai Gruppi Barnaba, anche come moderatore, una figura che ha una precisa identità?
Un’esperienza di crescita personale nella fede, come cristiano, che mi faccia approfondire il mio rapporto con il Signore. Questi primi sei mesi di lavoro mi confortano sotto questo aspetto. In secondo luogo, auspico un percorso di maggiore presa di coscienza dell’intero popolo cristiano relativamente a quale sia la sua missione, ma ancora di più su ciò che ne è il fondamento. Quanto stiamo facendo in questo periodo è incontrare realtà che non sono assimilabili alla vita parrocchiale – essendone un poco al di fuori -, ma che rappresentano iniziative vive e comunque d’ispirazione cristiana. Esiste una ricchezza: è importante che il Gruppo Barnaba non solo metta in connessione, ma aiuti a mantenere vivo il fuoco che queste opere hanno, perché la tendenza è a una grandissima generosità e dedizione, che, tuttavia, perde di vista talvolta le ragioni per cui si fanno le cose. Questo lo constatiamo concretamente nel fatto che c’è una difficoltà di ricambio generazionale, per cui chi manda avanti le iniziative, in genere, è abbastanza avanti con l’età e non ha giovani che ne raccolgano l’eredità. Lavorare su una maggiore consapevolezza dell’origine del nostro fare, che è appunto la nostra fede, è uno dei servizi realizzabili dal Gruppo Barnaba.
Nuovi italiani, poveri ed educazione
Se dovesse indicare una sfida per il suo Decanato e per il quartiere nel quale vive?
Abbiamo di fronte tante realtà, perché siamo immersi in una società in enorme mutamento e questo non può non interessare anche il nostro Decanato. Uno dei temi ricorrenti su cui ci confrontiamo è sicuramente il rapporto con i nuovi italiani, gli abitanti della nostra zona che provengono da altri Paesi, che hanno altre culture, che vivono il loro cristianesimo o la loro appartenenza alla Chiesa cattolica in modi diversi. Spesso sono comunità molto coese al loro interno, ma che tendono a isolarsi e a non integrarsi nella vita del territorio. Altri temi che ci sono cari sono le povertà e l’educazione. La sfida è riuscire a parlare e a parlarci, per essere una presenza che sappia essere ascoltata e che sappia proporre gesti che interessano il mondo di oggi.
È un’idea positiva e feconda quella di immaginare i Gruppi Barnaba anche come cinghia di trasmissione con le realtà che arricchiscono i territori?
Senz’altro, perché così si alimenta la riflessione sulla presenza capillare della Chiesa, che si manifesta oggi nelle parrocchie, ma che sempre più richiede una riflessione sul proprio futuro. Probabilmente andranno individuate altre forme che vadano al di là delle realtà parrocchiali: questa mi pare una delle sfide per cui occorre intercettare le presenze vive di chi è nel mondo del lavoro, creando reti virtuose, anche se è un obiettivo di complessa realizzazione. Penso, per esempio, al recupero di esperienze preziosissime come quelle dei medici cattolici, che sono una testimonianza non visibile d’impegno quotidiano nel territorio. Nel Decanato abbiamo il nuovo Polo del Politecnico, dove c’è un cappellano che proviene dalla parrocchia di San Carlo a Niguarda. La presenza della cappellania, ma anche di tanti professori e degli studenti è un altro tema di riflessione.
Stabilire rapporti
Osservazioni alle quali la segretaria del Gruppo Barnaba, Giovanna Mizzau, insegnante da tre anni in pensione, della parrocchia dell’Annunciazione, aggiunge. «Abbiamo raccontato all’Arcivescovo un percorso che abbiamo appena iniziato, essendoci incontrati a maggio e riprendendo, in questi mesi, dopo la pausa estiva».
Cosa vi ha chiesto l’Arcivescovo?
Ha sottolineato che il nostro compito non è quello di fare una sorta di censimento, ma di stabilire rapporti. Ha poi aggiunto qualcosa di importante e molto significativo per me, osservando che dobbiamo avere uno scopo contemplativo: davanti a tante vicende e fatti, si tratta di capire cosa c’è nel cuore degli uomini e delle donne e che cosa sia giusto fare. L’Arcivescovo ci ha anche suggerito di individuare la possibilità di un luogo di confronto per immaginare le vie della missione. Noi siamo ancora lontani dalla costituzione dell’assemblea di Decanato – sarà questo il lavoro che ci impegnerà quest’anno -, però ci ha detto che, innanzitutto, non dobbiamo pensare che il fare sia una preoccupazione in più, dobbiamo essere contenti di ciò che realizzeremo.
Uno sguardo più ampio
Quali sono le sue aspettative personali, facendo parte del Gruppo Barnaba?
Ho riflettuto molto in questi giorni. Penso che il rischio del collaborare in parrocchia, anche se da leggere in positivo, sia a volte limitarsi a una specifica porzione di territorio e di Chiesa; io invece vorrei avere uno sguardo più ampio, cercando di cogliere il bene che ci circonda. Inoltre, mi aspetto che altre realtà, che già lavorano sul campo, ma che sono talvolta autoreferenziali e chiuse rispetto al loro territorio, si aprano, proprio per favorire una conoscenza reciproca. Così si potrà dire una parola, per la nostra zona e il quartiere in questa parte di Municipio, anche dal punto di vista amministrativo e pubblico. Parola che sia di speranza, pur nella consapevolezza delle difficoltà, delle paure e delle fatiche.
Pensa che l’istituzione dei Gruppi Barnaba possa essere un modo per intercettare anche nuove fasce di persone che, magari, non partecipano normalmente alla vita della Chiesa?
Sì, perché comunque, come cristiani, molti di noi sono presenti anche all’interno di alcune realtà civili. Ci sono in questo territorio già delle reti di associazioni che lavorano insieme, non tutte con un’impronta cristiana. Ritengo che la nostra presenza in tali contesti possa essere capace di generare scintille – come il Vescovo ha detto dialogando con i nostri giovani del Decanato -, non dimenticando mai che, come Chiesa e come Gruppo, dobbiamo proporre una fedeltà alla Messa domenicale che è un roveto ardente da cui chi si impegna nel sociale, nel politico e nell’evangelizzazione, può trarre una spinta in più per dare un senso a ciò che fa.