«Ormai non si accontentano più di una pace relativa»: così padre Volodymyr Misterman, sacerdote cattolico ucraino di rito bizantino che segue tre comunità a Varese, Meda e Gallarate, dove sono arrivati i primi profughi
di Annamaria
BRACCINI
Nel suo ministero di sacerdote cattolico ucraino di rito bizantino, padre Volodymyr Misterman segue tre comunità a Varese e Meda da cinque mesi e, da poche settimane, a Gallarate. La sua è un’attività instancabile, specie da quando stanno giungendo i primi profughi. A lui chiediamo quale sia attualmente la situazione.
Quanti fedeli appartengono alle comunità da lei seguite?
Prima della guerra la comunità era abbastanza piccola: a Varese parliamo di una cinquantina di persone. Poi naturalmente le cose sono cambiate. Domenica scorsa per esempio la chiesa era gremita, perché sono arrivati i profughi. Nella comunità di Gallarate alla prima liturgia hanno preso parte oltre 100 persone.
Dove celebrate i riti?
Non abbiamo una chiesa nostra, ma ci appoggiamo ai luoghi di culto messi a disposizione dalla Diocesi: a Meda possiamo contare sulla chiesa del Crocifisso nella parrocchia di Santa Maria Nascente; a Varese città, sulla chiesa di San Martino; a Gallarate, su quella di San Paolo Apostolo, che è vicina alla stazione, in modo tale che i fedeli possano raggiungerla con una certa facilità, considerato che ci sono sempre tante donne e tante famiglie.
Riuscite a fare fronte alle nuove necessità?
Per ora sì. Come comunità ecclesiastica, nelle prime due settimane, ci siamo focalizzati sulla raccolta dei fondi per la Caritas Ambrosiana e la Caritas dell’Esarcato apostolico. Infatti presso il nostro Esarcato è stato creato un centro anticrisi e un conto per versare i fondi in contatto diretto con Caritas Ucraina. Inoltre abbiamo avviato una raccolta di medicinali, avendo ricevuto, sempre dall’Esarcato, una lista di farmaci necessari; abbiamo raccolto molto materiale, che abbiamo spedito all’ospedale diocesano di Ivano-Frankivsk, dove vengono suddivisi e inviati nei luoghi in cui ci sono le maggiori necessità.
Vi aspettate altri arrivi massicci se continua la guerra?
Ci stiamo preparando: fino a ieri pensavo che la parte occidentale del Paese, da cui io provengo, fosse la più sicura e tranquilla, ma non è così.
Ci sono speranze per la pace?
Ormai gli ucraini non si accontentano più di una pace relativa: vogliono avere una vita dignitosa, libera, indipendente, in un Paese libero, per cui si è combattuto per tanti anni, anche nel periodo sovietico. La gente vuole avere dignità e ci crede moltissimo: molte donne con bambini che ho incontrato – appena arriva qualcuno vado a trovarlo – hanno tanta speranza e, appena sarà possibile, vorrebbero tornare in patria.