Nel contesto della visita pastorale al Centro storico, in Tribunale l'Arcivescovo ha incontrato e dialogato con magistrati, avvocati e operatori dell'amministrazione giudiziaria. Poi per loro ha celebrato una Messa in San Pietro in Gessate

di Annamaria BRACCINI

Delpini Palazzo di Giustizia 2022
Un momento dell'incontro a Palazzo di Giustizia

Una visita pastorale molto particolare, quella che l’Arcivescovo compie entrando a Palazzo di Giustizia e dialogando, nella Sala del Consiglio giudiziario dove si riuniscono il Presidente della Corte d’Appello e gli altri Presidenti delle varie sezioni, con i vertici della Magistratura milanese, cui si aggiungono rappresentanti del personale.

Accolto dal presidente della Corte Giuseppe Ondei e da Fabio Roia, presidente facente funzioni del Tribunale, l’Arcivescovo parla della sua visita (che si inserisce in quella più generale in corso alla Città) come di un «gesto che è occasione per esprimere sollecitudine, vicinanza, incoraggiamento. Una dichiarazione di attenzione alle persone che in questo Palazzo lavorano, che vengono per chiedere giustizia, alle persone che sono portate qui per essere sottoposte a processo per le accuse ricevute, alle persone che assistono gli accusatori e gli accusati, alle persone che hanno la responsabilità di amministrare la giustizia».

Delpini Palazzo di Giustizia 2022

L’Arcivescovo con il presidente Ondei

Il saluto del presidente Ondei

«La sua presenza ci onora, la sua vicinanza ci conforta in quella che Leonardo Sciascia chiamava “la dolorosa necessità di giudicare”. Ogni giorno, in questo Palazzo, concorrono persone che, con spirito unitario, vogliono il bene comune della società», osserva il presidente Ondei in apertura dell’incontro che, dopo l’intervento dell’Arcivescovo, prosegue in modo riservato e nel quale i singoli Presidenti di Sezione esprimono le difficoltà degli uffici loro affidati. «Noi siamo chiamati ad affermare e a tutelare i diritti dei più deboli», continua Ondei (vedi qui l’intervista da lui rilasciata), citando il cardinale Tettamanzi che diceva: «I diritti dei deboli non sono diritti deboli». «Oggi chi non ha capacità di spendere e consumare sembra non contare niente: negare i diritti, è negare la persona. La giustizia è l’ordine virtuoso dei rapporti umani, è un dovere e una virtù che si gioca nelle relazioni». 

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Le quattro parole

Quattro le parole che l’Arcivescovo rivolge, idealmente, all’intero mondo rappresentato nella Sala del Consiglio. Anzitutto, «beatitudine». «Beati coloro che si impegnano ogni giorno per cercare la giustizia. Non saranno mai soddisfatti nel cercare di comprendere che cosa sia la giustizia come aspirazione profonda, come principio irrinunciabile per il convivere delle persone e delle nazioni, ma beati coloro che continueranno a pensare, a studiare, a cercare».

Poi, «incoraggiamento». «A tutti capita di sentirsi stanchi e oppressi, per il troppo lavoro, per i risultati insoddisfacenti, per la giustizia imperfetta, per la procedura esasperante, per la malizia dei malvagi, per la prepotenza dei prepotenti, per la complicazione della burocrazia. Abbiate cura anche del vostro riposo», raccomanda il Vescovo facendo riferimento allo spazio della preghiera personale.

Delpini Palazzo di Giustizia 2022

Un altro momento della mattinata

E, ancora, «benedizione», «che vuole dire alleanza per un bene che avvolga di luce tutte le persone e tutta la persona. Il ruolo non esaurisce l’intera persona, che ha una storia, una famiglia, vicende di gioia e di dolore. La benedizione del Signore è questa alleanza che assicura che ogni vita merita di essere vissuta con speranza, dando futuro all’umanità».

Infine, la parola di orientamento, delineata con l’espressione di san Paolo, «gareggiate nello stimarvi a vicenda». «La stima è la predisposizione e la condizione perché ciascuno possa dare il meglio di sé. La stima per i collaboratori, per tutti – i ricchi e i poveri, le donne e gli uomini di prestigio e persi nell’anonimato -, stabilisce rapporti promettenti. Stima per chi è vittima dell’ingiustizia che talvolta sente sensi di colpa tormentosi, e stima, persino, per coloro che devono essere condannati. La stima è la condizione preliminare per insinuare l’idea che vi è un diritto a sperare, che possono cambiare e che c’è una possibilità di percorsi nuovi per loro e le loro famiglie».

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La Messa

Al termine dell’incontro istituzionale, il breve trasferimento nella chiesa di san Pietro in Gessate, che si trova davanti al Tribunale, dove l’Arcivescovo presiede la Messa concelebrata dal responsabile della Comunità pastorale Santi Profeti don Enrico Magnaghi e da don Gabriele Ferrari, vicario parrocchiale della Cp che, ogni mercoledì alle 13.15, celebra proprio per chi lavora in  Tribunale.

Messa giustizia San Pietro in Gessate

La celebrazione in San Pietro in Gessate

«Grazie a tutti voi che vivete questo momento di pausa pranzo cercando il pane che dà vita eterna – dice, nel suo saluto, l’Arcivescovo -. Preghiamo con particolare intensità perché il Signore ci aiuti a camminare sulle vie della giustizia e della pace. A tutti voglio dire che mi siete cari, mi state a cuore, sento responsabilità per la vostra vita di fede. La presenza del Vescovo dice il senso dell’appartenenza alla Chiesa. Siate attenti alla Chiesa in cui vivete, perché nessuno sia autoreferenziale e tutto possa giovare alla comunità».

Dalla Lettura del Libro dell’Apocalisse con il cantico dei redenti, prende spunto l’omelia (leggi qui). «Un cantico che può risuonare incomprensibile».

Non uniformarsi alla mentalità del mondo

«I discepoli di Gesù sono una presenza incomprensibile nella storia che si lascia dominare dal principe di questo mondo e sono chiamati a portare il peso di questa incomprensione, a vivere una coerenza che ci fa talvolta sentire isolati. Siamo chiamati a giustizia e onestà, a una forma di compassione che suona incomprensibile all’emotività che si vive oggi nella società. In ogni tempo i discepoli sono tentati di uniformarsi alla mentalità mondana, alla logica perversa che suggerisce di pensare ai propri interessi, di tenere per sé quello che si possiede e di strumentalizzare tutto e tutti a proprio vantaggio, disponibili al compromesso, in un mondo dove sono seminati i principi del maligno. Molti di voi svolgono professioni delicate e la tentazione di abituarsi all’ambiguità può essere quotidiana. Ma il cantico dei redenti, seguire l’Agnello, esprime un sentimento più prezioso dell’interesse, una gioia invincibile che nessun scatto di carriera, nessun applauso può sostituire».

Messa giustizia San Pietro in Gessate

L’Arcivescovo durante l’omelia

La strada della speranza

Il richiamo è alla speranza, definita la “prima strofa” del cantico: «La speranza è stata esiliata dalla mentalità contemporanea e la convinzione indiscutibile sembra quella che suggerisce di rassegnarsi perché tutti e tutto sono destinati al nulla e all’insensato. Dunque, se tutto va a finire nel nulla, perché scegliere il bene invece che il male, il sacrificio per fare il bene, invece che la sobrietà e l’austerità di chi è impegnato nell’attenzione ai poveri, nella difesa dei più deboli, nella giustizia? La strada della speranza è la sequela dell’Agnello, stare con Gesù, vivere con lo stile di Gesù».

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Arriva, così, una “seconda strofa”. «Sperimentare il “cento volte tanto” della fraternità universale costruita non su rapporti di parentela o di interesse, ma sul comandamento di Gesù. In Tribunale si incontrano anche persone che hanno fatto del male, persone astute che fanno il loro interesse. È giusto che la giustizia giudichi, ma anche in questo dobbiamo considerare che siamo tutti chiamati alla fraternità e che anche i condannati sono persone».

La “ terza strofa” è rispondere alla chiamata che viene dal seguire il Signore: «La sequela di Gesù è frutto di una risposta, di una conversione personale. Un’intima persuasione crea la condizione per l’adesione libera, sincera, definitiva, che dà buone ragioni per resistere alle tentazioni del compromesso, dell’ambiguità e della mediocrità».

Leggi anche:

In preghiera di fronte al Palazzo di Giustizia

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