Nella festa liturgica del Santo, da 150 anni riconosciuto patrono della Chiesa cattolica, una riflessione su questa figura a cui papa Francesco dedica un anno speciale
di don Mario
ANTONELLI
Vicario Episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della Fede
Quel 19 marzo 2013 Francesco entrava nel suo ministero petrino tenuto per mano da san Giuseppe, custode innamorato di Maria e di Gesù, custode dei suoi passi apostolici e della Chiesa tutta. Sposo e padre guidato dal sogno di Dio, umile e fiducioso nell’avventurarsi oltre il buon senso della legge, cammina «sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a chi lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge».
In questa affettuosa familiarità con lui, in occasione del 150° anniversario della sua proclamazione quale Patrono della Chiesa cattolica, il Papa invita a celebrare un anno speciale in sua compagnia: da lui consolati, istruiti, incoraggiati in un tempo di crisi e sfide, nella notte di una precarietà che torchia corpi e corpi, di un’incertezza che assedia desideri e speranze. Giuseppe, «l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida», rappresenta il popolo di persone comuni che, lontani dalla ribalta, oggi scrivono con pazienza la storia, infondendo speranza, seminando corresponsabilità; e custodiscono la Chiesa nella sua tenerezza materna, nel suo andare missionario.
Secondo le rispettive vocazioni, tutti siamo esortati a riconoscere l’esemplarità di Giuseppe. Nei tratti del suo cuore di padre che la Lettera apostolica evidenzia echeggia il richiamo di Dio, per tutti, per la Chiesa tutta, per i padri in particolare, poiché conviene non rassegnarsi all’evaporazione della figura paterna.
Il cuore di padre abbonda di tenerezza. Non si innervosisce per le debolezze proprie e altrui, non cede al Maligno che ne fa capi d’accusa inappellabile, ma rileva fragilità e immaturità, le patisce e le accoglie come nome di battaglia della santità. La «profonda tenerezza» smaschera l’inferno dell’essere ossessivamente sani e immancabilmente a posto e, proprio per questo, sterili; sulle note della tenerezza il canto di chi è fragile e fecondo, perché Dio opera «anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza».
Il cuore di padre osa l’obbedienza a Dio e l’accoglienza della storia. In ogni parola di Dio ascolta come unico motivo l’amore per la vita dell’uomo, avverte il cenno dall’Alto e, anche nel buio, come la promessa sposa a Nazareth, come Gesù nel Getsemani, pronuncia il suo «Eccomi». E non si obbedisce a Dio se non si accoglie la storia, mia e del mondo, zeppa com’è di aspetti contradditori e deludenti, con la sua cronica “piega sbagliata” e i suoi conflitti inesorabili: non la neghi né la diserti, ma la abiti e la soffri, la raccogli e la culli, senza buttarne via nulla perché «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio».
Il cuore di padre fiorisce nel coraggio creativo, perché, un po’ folle come Dio, nel problema scorge una promessa e nella difficoltà assapora un’opportunità. Dove dilaga l’autorealizzazione con le sue ossessioni e i suoi trucchi, il cuore di padre si preoccupa di generare: grembo divino dell’amore che genera. Perché Dio non esiste prima della generazione; non ha una riserva di vita da godersi al di là del suo eterno e ostinato generare il Figlio e tutto quanto ha vita nel Figlio. È con coraggio creativo che Giuseppe «prende il bambino e sua madre», custode quindi della Chiesa, «perché la Chiesa è il prolungamento del Corpo di Cristo nella storia, e nello stesso tempo nella maternità della Chiesa è adombrata la maternità di Maria», custode dei poveri e del pane spezzato, con cui Gesù si è identificato.
Per questo suo cuore, il padre, quello biologico, quello che si fa padre di chi non è stato generato dalla propria carne, non incombe come ombra sinistra su un figlio. Non lo trattiene, né lo possiede quale vitello d’oro idolatrato sull’altare del proprio vuoto; ma lo rende «capace di scelte, di libertà, di partenze». Già, padre «castissimo», che non confonde «autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione». Come Giuseppe per Gesù, con un cuore così, ogni padre per un figlio sarà l’ombra del Padre sulla terra. Un padre, ogni uomo o donna che si prende cura dell’altro, la Chiesa non fanno ombra a Dio; ne sono l’ombra, provvidenziale e confortante.