Nella V sessione di lavoro del Consiglio pastorale, sette consiglieri hanno approfondito e rilanciato alcuni concetti in linea col contenuto del documento preparatorio dell’assise in programma nel 2018
di Giulia SANTAGATA
Consigliere giovane Zona VII
La V sessione di lavoro del Consiglio pastorale diocesano, svoltasi il 25 e 26 febbraio a Villa Sacro Cuore di Triuggio, ha visto impegnati i membri in un primo momento di accoglienza e di risonanza del documento preparatorio diffuso il 13 gennaio 2017 in vista del Sinodo dei Vescovi che si terrà nell’ottobre 2018.
“I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”: questo il titolo del documento presentato in apertura della sessione da sette consiglieri giovani che hanno lavorato all’interno della commissione preparatoria. Ciascuno di loro ha scelto di approfondire una lettera della parola G-I-O-V-A-N-E (vedi box a fianco e documenti allegati) attraverso sette parole chiave che hanno illustrato e rilanciato alcune questioni cruciali per i giovani nella linea aperta dal documento stesso: varietà di linguaggi e ricchezza di contenuti hanno permesso di ascoltare qualcosa riguardo alla “generatività”, all’“impegno storico”, agli “orizzonti”, alla “vocazione”, agli “altri”, ai “new media” e all’“Europa”.
A questa presentazione sono seguite le sintesi delle sette Zone pastorali e il dibattito con circa una quarantina di interventi, mirati anzitutto a rispondere a due questioni tratte dalla lettura del documento per il Sinodo: nell’intento di raggiungere tutti i giovani ci si chiede quale sia la capacità della nostra realtà ecclesiale di dialogare con i giovani non direttamente impegnati nella comunità; quale sia la consapevolezza di credenti adulti e giovani di essere in primo luogo in gioco come testimoni del Vangelo. Fare sintesi di quanto emerso può risultare riduttivo e improduttivo in questa fase iniziale, importante può essere invece fare menzione di alcuni elementi ricorrenti emersi nei vari interventi.
Rispetto alla questione dell’ascolto, i giovani hanno il desiderio di incontrare persone che dedichino loro tempo gratuitamente; tuttavia parallelamente si fa largo la percezione che molti luoghi tradizionali di cura dei giovani, propri di varie esperienze di Chiesa, fatichino in realtà a intercettare i giovani. Sono loro che chiedono alla Chiesa di “incarnarsi” in adulti coerenti con gli insegnamenti del Vangelo, in adulti pronti ad accompagnarli in cammini impegnativi e seri indirizzati alla ricerca di senso nella propria vita e al compimento di scelte decisive per la propria vita. Un aspetto che chiede ulteriori riflessioni riguarda i luoghi in cui giovani possono trovare oggi forme di accompagnamento nel cammino di fede, venendo aiutati nel mettere in luce la portata vocazionale delle molteplici esperienze da loro vissute. Rispetto al ruolo di adulti e giovani testimoni è emerso che le figure riconosciute tali sono: le famiglie, gli insegnanti, i catechisti, i religiosi/e e in generale tutte quelle persone “ordinarie” della cui vita è possibile cogliere il valore testimoniale.
In conclusione l’Arcivescovo ha aiutato a rileggere la complessità del tema trattato e ha anche invitato a riportare al centro alcune attenzioni. In primo luogo, nel momento in cui la realtà ci interpella in modo forte e anche provocatorio, non dobbiamo rifugiarci nell’orizzonte del “fare”; occorre invece l’umiltà che viene dal prendere tempo per poter leggere i segni dello Spirito. In secondo luogo, il Sinodo riguarderà i giovani, tuttavia questo chiama in causa in prima persona anche gli adulti. Dobbiamo ripensarci anzitutto come “soggetti” interpellati a metterci in gioco personalmente nell’avventura straordinaria dell’evangelizzazione. È necessario interrogarsi di più su cosa vuol dire seguire Gesù oggi, secondo la modalità da lui indicate. Siamo soggetti che vivono rivolti a Gesù e che da lui si lasciano guardare, dentro però una comunità in cui si incontrano fratelli. Se questi elementi vengono meno il rischio grosso che si corre come Chiesa è proprio quello di diventare un’organizzazione. Infine, riguardo al discernimento vocazionale, non si deve intendere la vocazione innanzitutto come “stato di vita”, ma concepire se stessi come convocati dall’incontro con il Risorto, possibile se si accoglie l’invito «vieni e vedi» e se instancabilmente si osa rilanciare questo invito.