Dal 13 al 17 febbraio un centinaio di sacerdoti del primo decennio d'ordinazione, guidati da monsignor Delpini, visiteranno il Paese lasciandosi ispirare dalla testimonianza di Charles de Foucauld e dei monaci martiri di Tibhirine
di Annamaria
Braccini
Un pellegrinaggio nel nome di santi come Charles de Foucauld e di martiri come i monaci di Tibhirine, un viaggio per riflettere insieme sulla preghiera, sul silenzio, sul dialogo tra le fedi, visitando una terra ricca di storia e di cultura millenaria come il Marocco. È quello che, come ormai da tradizione, impegnerà l’Arcivescovo, i Vicari episcopali, i responsabili della Formazione permanente del Clero e un centinaio di giovani sacerdoti del primo decennio di ordinazione presbiterale, dal 13 al 17 febbraio. «La figura di Charles de Foucauld, canonizzato il 18 maggio scorso, studioso e conoscitore del mondo musulmano, che era stato in Marocco prima della sua riscoperta della fede, ci ha molto colpito», sottolinea don Andrea Regolani, dell’équipe della Formazione Permanente.
Poi però il grande «piccolo fratello di Gesù» scelse l’Algeria…
Certamente, ma attualmente in Algeria non è possibile andare a causa della situazione politica. Il Marocco, tuttavia, ci permette di vivere una situazione simile a quella sperimentata da de Foucauld – pur con tutti i mutamenti dei tempi -, accostando il mondo musulmano, l’esperienza del deserto, della solitudine, della ricerca di Dio e dei fratelli, anche se molto diversi. Un’altra motivazione per noi importante è la presenza in Marocco della comunità del monastero di Nôtre Dame de l’Atlas, la stessa che era a Tibhirine, dove furono uccisi i 7 monaci trappisti.
Quali gli appuntamenti più significativi del pellegrinaggio? Incontrerete anche le autorità?
Il monastero di Nôtre Dame de l’Atlas a Midelt ci permetterà di approfondire la storia di Charles de Foucauld e dei beati martiri, Christian de Chergé e i suoi compagni. Questo è il cuore del pellegrinaggio, ma abbiamo previsto anche la visita a due città importanti: nella capitale, Rabat, si svolgerà l’incontro con l’Arcivescovo, il cardinale Cristóbal López Romero, che ci permetterà di dare uno sguardo più ampio su come vive la Chiesa in una terra musulmana, rappresentando una minoranza, ma allo stesso tempo una testimonianza e una presenza significative. Sempre a Rabat affronteremo il dialogo cristiano-islamico, che in quel Paese è molto vivace: incontreremo persone appartenenti alle due diverse fedi che lavorano insieme nella ricerca del dialogo. Poi saremo anche a Fes, presso la parrocchia di San Francesco di Assisi, dove incontreremo il parroco con la sua comunità e le Piccole Sorelle di Gesù. Occorre sottolineare che la comunità cristiana in Marocco è costituita da cristiani non marocchini, perché c’è tolleranza religiosa, ma è inconcepibile che un marocchino sia o possa diventare cristiano.
Quindi chi fa parte di tali comunità?
Vi appartengono soprattutto persone di origine sub-sahariana, che si spostano più a nord alla ricerca del lavoro – il Marocco è uno Stato molto avanzato economicamente e anche prospero in questo momento -, oppure per tentare di avvicinarsi all’Europa. Naturalmente c’è anche chi lavora da tempo nel Paese e o discende da abitanti lì stanziati fin dall’epoca coloniale, soprattutto, di origine spagnola o francese. È una comunità non stabile, nel senso che cambia continuamente nei suoi componenti, ma è solidale, perché i cristiani, anche provenendo da storie e realtà diverse, si aiutano molto reciprocamente.
Il pellegrinaggio ha un titolo?
Sì, «La mia vita era donata a Dio e a questo Paese»: una frase tratta, non a caso, dal testamento spirituale di padre Christian de Chergé.