Un invito alla speranza nelle parole che l’Arcivescovo ha rivolto agli studenti dei Centri di formazione professionale nella Messa a loro dedicata: «C’è un mondo da inventare con la vostra vita e le vostre doti»

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Alcuni giovani durante la Messa (foto Agenzia Fotogramma)

di Annamaria Braccini

«La situazione lavorativa attuale, la disoccupazione, le problematiche del nostro tempo soffocano a volte la nostra capacità di inseguire un sogno, di sperare e di dare il nostro giovane contributo alla società. Abbiamo bisogno di adulti che ci stiano vicini, di compagni di viaggio che scommettano sulle nostre capacità per costruire un mondo migliore fatto di rispetto per la terra, della vita, di nuove relazioni in una società della solidarietà e della cura reciproca».

È quasi un grido alla ricerca di un aiuto, quello che Matteo, del Centro Italiano Opere Femminili Salesiane-Formazione Professionale Lombardia, pronuncia, seppure con voce intimidita, dall’altare maggiore del Duomo a nome del migliaio di giovani presenti in Cattedrale. Si apre così la celebrazione presieduta dall’Arcivescovo per gli studenti, i responsabili, i docenti, il personale dei Centri di formazione professionale della Diocesi di Milano, concelebrata da una decina di sacerdoti tra cui don Massimiliano Sabbadini (presidente nazionale di Confap, la Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale, e della Fondazione Clerici) e don Nazario Costante (responsabile del Servizio per la Pastorale Sociale e il Lavoro). Presenti, tra gli altri, il direttore generale della Fondazione Enaip Lombardia Giovanni Colombo, l’assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro di Regione Lombardia Simona Tironi e il direttore della Fondazione Clerici Paolo Cesana.

Un momento della celebrazione (foto Agenzia Fotogramma)

Il saluto di apertura dell’Arcivescovo, si rivolge però subito solo ai ragazzi che lo ascoltano attentissimi: «La crescita di ciascuno di voi, questo desiderio di una società in cui sia desiderabile abitare, è un grande sogno. Siamo qui perché crediamo che Dio sia alleato dei nostri sogni e che nessun sogno si può realizzare senza la benedizione di Dio».  

Il popolo dell’ottavo giorno

«Come cominciò la storia degli uomini? Io credo che sia cominciata con una protesta rivolta a Dio» che aveva consegnato 7 giorni ai figli dell’uomo per lavorare, per fare tutto ciò che è necessario fare. Troppi, troppo pochi? In verità, il Signore comprese che non si trattava del numero dei giorni, ma di come si vivono, della qualità della vita e di come si attribuisce valore al tempo».

Per questo il «Figlio di Dio entrò nel tempo, visse tutti i giorni e le stagioni e gli anni dei figli degli uomini e offrì la possibilità di vivere il tempo e di essere contenti. Ma la gente del tempo di Gesù, forse come quella di tutti i tempi, avvertì la sua presenza come una provocazione e lo accusarono di non rispettare il sabato, cioè di non lasciarsi dominare dal tempo, di non praticare la noia del ritmo che impone la ripetizione dei giorni: lo crocifissero. Ma il figlio del falegname, vivo di una vita invincibile, lieto di una gioia incontenibile, aprì nel tempo che scorre una porta per entrare nella festa di Dio». Gesù inventò infatti «l’ottavo giorno, la Pasqua, la festa che dà origine a tutte le feste, più che un giorno, la luce che illumina tutti i giorni».

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Da qui, la consegna a essere «il popolo dell’ottavo giorno, della Pasqua e dell’alleluia»: «Il popolo dell’ottavo giorno non vive il tempo come un ingranaggio che continua a girare sempre uguale, che imprigiona la libertà, ma vive ogni giorno come un’occasione irripetibile, occasione per decidere di fare il bene. Il popolo dell’ottavo giorno è il popolo della libertà e non aspetta il giorno di riposo per incontrare gli amici, ma vive ogni incontro come occasione per fare amicizia e per trasformare il vivere nello stesso luogo in una fraternità. Il popolo dell’ottavo giorno non guarda ai giorni a venire come a un enigma pieno di domande inquietanti che angosciano – troverò lavoro? troverò l’amore? troverò la salute? -, ma è certo che in ogni giorno si è accompagnati dalla presenza amica di Gesù, che illumina ogni passo e ogni situazione».

La benedizione dell’Arcivescovo (foto Agenzia Fotogramma)

Così, il popolo di Dio «non si sente mai solo e non si lascia prendere dalla disperazione. Voi ragazzi, siete il popolo che ha la grazia di vivere ogni giorno come speranza e vocazione. Un popolo che ha stima di sé perché si sente chiamato da Dio anche se gli altri non lo considerano».

E, in conclusione della celebrazione, arriva anche un monito, espresso dall’Arcivescovo con una voce piena di affetto: «Costruite una realtà più abitabile, siate il popolo dell’ottavo giorno: questa è la proposta che il Signore vi fa. Desidero incoraggiare il vostro lavoro come un modo per dire di farvi avanti perché c’è un mondo da inventare con la vostra vita, le capacità, le doti di chi si sente il popolo dell’ottavo giorno». 

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