L’Arcivescovo scrive agli operatori della comunicazione per la festa del patrono San Francesco di Sales. Mitezza, rispetto, attenzione al «fattore umano», ironia: questi gli strumenti per riuscire a collegare «territori lontani»
di monsignor Mario
Delpini
Arcivescovo di Milano
L’incontro programmato tra noi, giornalisti e arcivescovo, in occasione della festa del patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales, è stato anche quest’anno cancellato.
Eppure resta vivo in me il desiderio dell’incontro. Ho sempre molto da imparare dai giornalisti. Molto di quello che so su eventi e situazioni dipende dal lavoro dei giornalisti. Molte domande sulla visione della realtà e sulle priorità di questo tempo nascono dalle informazioni che ricevo. Spesso penso a quello che immagino della vita e del lavoro di chi opera nel campo dei media, specie quando incontro giovani liceali e universitari che sognano di “fare il giornalista”.
Perciò resta vivo il desiderio dell’incontro, come occasione di ascolto, di confronto, di approfondimento di questo mondo magico, inquietante, determinante della comunicazione.
Protagonisti e vittime della comunicazione
Gli operatori della comunicazione sanno di essere protagonisti nel creare la visione del mondo che la gente condivide. Infatti: che cosa è successo ieri? È successo quello che i media raccontano: dei miliardi di essere umani che abitano la terra si sa soltanto del gesto inconsulto di un fanatico, della scelta sconsiderata di un temerario, della battuta brillante di un personaggio. Gli artefici della comunicazione selezionano le notizie che meritano un titolo sulla pagina internet o sul giornale cartaceo. Di tutto quello che hanno detto, fatto, amato, sofferto gli altri – e sono miliardi – non c’è traccia. Chi ha deciso? I giornalisti, gli operatori della comunicazione.
Avviene però che la comunicazione sia come un mare: chi si immerge, si bagna; chi si immerge, non cammina, deve nuotare, se è capace; chi si immerge non si disseta, se l’acqua è salata e disgustosa.
Così i giornalisti, nel mare della comunicazione, non si riconoscono protagonisti potenti e influenti sulla visione del mondo della gente, ma spesso, piuttosto, vittime. Devono dare le notizie richieste, non quelle importanti. Devono inseguire il personaggio che fa notizia per la sua stranezza o per il suo prestigio, non le persone pensose, gli artigiani quotidiani del bene comune. Devono parlare la lingua sbrigativa, eccessiva: gridare per farsi sentire.
Talora i giornalisti colti, gentili, saggi si rammaricano di una professionalità mortificata dalla fretta, dall’enfasi sproporzionata su aspetti secondari; dalle onde, insomma, di un mare spesso tempestoso, che agita ogni navigazione.
Uscire dal mare non si può.
Salvare la professione propiziando incontri?
Si può immaginare un po’ di fiducia e pensare l’essere giornalisti come l’incarico di propiziare incontri.
Il fatto che è capitato, le parole che ne fanno una notizia, vengono ricevuti dai lettori: possono essere estranei che nella notizia trovano motivo per confermare i propri pregiudizi, reagire con sdegno inutile e pronunciare giudizi perentori, fatti di rabbia e di luoghi comuni.
È però possibile che si interpreti il mare della comunicazione non come una pericolosa potenza di tempeste e di acque disgustose, ma come una “via di comunicazione”, che invita a raggiungere l’altra riva: per conoscere, per visitare, per fare amicizie, per vendere e per comprare. Al timone delle navi che percorrono il mare della comunicazione stanno i giornalisti. Possono favorire l’incontro.
Quale comunicazione favorisce l’incontro?
Per favorire l’incontro risulta utile la gentilezza dell’invito. La comunicazione “gentile” è quella che si caratterizza per le parole giuste, le immagini discrete, i toni misurati. Non la brodaglia del sentimentalismo melenso, ma la mitezza e il rispetto che dichiara la stima – non necessariamente la condivisione – di pensieri, parole, comportamenti.
Per favorire l’incontro risulta propizia un’abituale attitudine alla compassione. La compassione alimenta una comunicazione capace di corrodere il muro dell’indifferenza e di mettere in evidenza il “fattore umano” del soffrire, del festeggiare, del dramma e dell’ingiustizia. Si può parlare e scrivere, anche di vicende tragiche, in modo da alimentare un desiderio di prossimità, piuttosto che una curiosità morbosa; riconoscendo vicende di uomini e di donne, invece che imprese di mostri.
Risulta costruttivo, per favorire l’incontro, anche il genio del sorriso, dell’ironia, dell’umorismo. L’ironia non è sarcasmo offensivo, ma sorriso benevolo e saggio, che riconduce le vicende alle giuste dimensioni, coglie il paradosso e il ridicolo, mette in evidenza spiragli di speranza anche nelle tenebre della desolazione.
In conclusione, mentre attendo che si realizzi l’occasione dell’incontro sperato tra i giornalisti e il vescovo, auguro a tutti gli operatori della comunicazione che i media siano davvero come le navi che collegano territori lontani e alimentano il desiderio dell’incontro.
Milano, 24 gennaio 2022, Memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti