Molte centinaia di fedeli hanno partecipato al Pontificale nella Domenica delle Palme, presieduto dall’Arcivescovo e aperto dalla processione con gli ulivi all’interno della Cattedrale

di Annamaria Braccini

Domenica delle Palme 2022

I discepoli di duemila anni fa e quelli di oggi – che vorremmo essere noi – «chiamati a vivere l’ingresso di Gesù a Gerusalemme come una rivelazione della via della pace, anche se la gente del nostro tempo forse non è più capace di entusiasmo, restìa all’accorrere festoso». Gente del terzo millennio – e qui davvero siamo noi – «che vive, piuttosto, in una specie di inguaribile pessimismo, stanca di troppe disgrazie, smarrita per troppe aspettative deluse, angosciata dall’alluvione di tragiche notizie e di cupe prospettive».

È la domenica delle Palme, il grande portale di ingresso alla Settimana autentica, che in Duomo si colora finalmente della presenza di tanti fedeli riuniti per il Pontificale presieduto dall’Arcivescovo. È lui a pronunciare queste parole nell’omelia della celebrazione che si apre con la benedizione delle palme e degli ulivi presso l’altare di San Giovanni Bono e la processione alla quale partecipano i Canonici del Capitolo metropolitano, i membri dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento, del Sovrano Militare Ordine di Malta e dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro.

Discepoli consapevoli e non ottusi

Il rito è sottotitolato nella lingua dei segni e trasmesso in diretta in televisione e sulla rete. A tutti si rivolge l’Arcivescovo, che parla di discepoli del Signore «presenti agli avvenimenti senza saperli interpretare e rendersene conto». Discepoli «frastornati che ascoltano le parole, i canti, gli entusiasmi e li riducono a una cronaca insignificante perché troppo presi dagli applausi e dall’aspetto trionfale» e perché non sanno «di partecipare alla storia della salvezza. Quelli che alla sera si ritrovano e dicono: “Avete visto quanta gente?”», riferendosi alla massa festante, che non è meno cieca di loro, stanca come è «delle tensioni della storia, esasperata dal peso della vita, segnata dalle ferite delle ingiustizie, delle violenze. È una folla che invoca un re di pace, che venga nel nome del Signore, un potere che sia benedizione, liberazione, riconciliazione».

Insomma, la gente nella quale, mai come adesso, ci riconosciamo tutti. «Ottusi, ma illuminati, quando il dramma di questa settimana arriva all’ultimo grido e si aprono gli occhi», riconoscendo «che l’essenziale non è stata la popolarità, il clamore e il numero dei presenti, ma la contestazione delle forme oppressive del potere e la rivelazione della signoria di Gesù nella forma della mitezza. La gloria di Gesù, la sua regalità è la riconciliazione, il dono della pace, a prezzo della sua vita».

Un’offerta totale del Figlio dell’uomo che significa responsabilità, perché «i discepoli illuminati dalla gloria di Gesù hanno la missione di percorrere le vie della pace, di testimoniare la verità di colui che viene nel nome del Signore. Noi siamo qui radunati per raccogliere l’invito a entrare in questi giorni della Settimana autentica come discepoli illuminati dalla gloria per comprendere il mistero di Cristo e continuare con lui a essere il popolo della pace, quella presenza che restituisce speranza e incoraggia il cammino fino a entrare nella Pasqua».

A conclusione, arriva ancora un auspicio con la benedizione dei presenti – tra cui un nutrito gruppo di non udenti – e per tutti coloro che hanno seguito la Messa sui media: «Invoco la grazia che, con i rami di ulivo, portiate in casa vostra e alle persone che incontrate questa benedizione, che sia un messaggio di fraternità e un invito a entrare in questi giorni santi come discepoli che vogliono passare dalla superficialità della cronaca alla verità della storia dove si rende vicino il Regno di Dio di cui essere testimoni. Che i giorni futuri siano di rivelazione, santità e meditazione».

Ti potrebbero interessare anche: