Il passaggio dall'enigma che incute timore al mistero che invita alla gioia al centro dell'omelia dell'Arcivescovo nel Pontificale presieduto nella Basilica di Sant'Ambrogio per la festa del patrono
di Annamaria
BRACCINI
«Noi non sappiamo il numero delle stelle, ma sappiamo che esistono perché ci stupiamo dell’opera di Dio; non sappiamo come funziona il nostro corpo, ma sappiamo che tutto esiste e ogni cellula è viva perché possiamo rallegrarci di essere figli di Dio. Per grazia abbiamo ricevuto la rivelazione del mistero in cui viviamo e. come Ambrogio e tutti i santi, lo custodiamo con attenzione e lo annunciamo con coraggio».
Nella solennità del santo patrono della Chiesa ambrosiana e della città Ambrogio, nella Basilica a lui intitolata, nel giorno in cui Milano diventa “capitale” per i grandi eventi che segnano il 7 dicembre, l’Arcivescovo, nel Pontificale da lui presieduto, si rivolge così ai moltissimi fedeli che affollano la basilica. Rito concelebrato da oltre 20 sacerdoti tra cui gli appartenenti al Cem e ai Capitoli di Sant’Ambrogio, con l’abate monsignor Carlo Faccendini, e della Cattedrale con l’Arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo, riuniti per l’unica volta durante l’anno. Tra i presenti i seminaristi del Biennio Teologico di Venegono e i giovani del Noviziato dei frati Domenicani.
Tutto parla, insomma, di Ambrogio: per l’occasione, l’Arcivescovo siede sulla cattedra marmorea risalente ai tempi santambrosiani, si canta l’Inno al Santo e la liturgia della Parola si apre con la lettura agiografica del patrono, definito «un uomo che si è trovato a proprio agio nella storia, un santo che intercede per questa Chiesa che porta il suo nome e per questa terra». Terra ambrosiana che ne fa memoria con un senso di gratitudine capace di attraversare i secoli, nella consapevolezza di quanto Ambrogio fece per la “sua” Chiesa e per il Vangelo, annunciato con la libertà e la gioia di sapersi figli di Dio. Quello che anche noi, oggi, come cristiani del terzo millennio siamo (o saremmo) chiamati a fare, suggerisce l’Arcivescovo che, in riferimento esplicito alla mostra da lui visitata presso la Triennale, dal titolo Unknown unknowns. Non sappiamo di non sapere (leggi qui), nella sua omelia definisce ciò che è enigma e ciò che è mistero.
L’enigma e il mistero
Se gli esperti dicono che, forse, conosciamo il 5% dell’universo e delle profondità oceaniche; tra il 5% e il 10% del sistema nervoso umano, è evidente che occorre ammettere che non sappiamo di non sapere, con «una confessione di ignoranza di fronte all’’infinitamente grande e all’infinitamente piccolo», come indica la mostra della Triennale, che «si propone di essere una introduzione ai misteri».
«Abitiamo in un mondo per lo più sconosciuto, viviamo una vita per lo più enigmatica. Perciò sorprende e affascina la dichiarazione perentoria di Gesù: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”», sottolinea richiamando la pagina evangelica di Giovanni 10 appena proclamata.
«La conoscenza di cui parla Gesù non dipende dall’accumulo dei dati faticosamente raccolti, non è frutto di impegnativa ricerca, non è la conquista di strumenti di tecnologia avanzata. Gesù parla piuttosto di una luce che splende e tutto avvolge di luce», così come canta Ambrogio nel suo Inno Splendor paternae gloriae.
Per questo si può dire «per grazia passiamo dal vivere di fronte al mondo, alla vita, a Dio come di fronte a un enigma, al vivere ogni giorno abitando nel mistero. L’enigma significa lo sconosciuto di fronte al quale uno si sente smarrito, la tenebra che fa paura, il mistero, invece, significa essere introdotti nell’incontro che invita alla gioia trepida, semplice e incalcolabile. L’enigma significa l’imprevedibile di fronte al quale uno si sente minacciato e si trattiene dal rischio; il mistero è l’invito immeritato e affidabile, di fronte al quale uno si commuove e si esalta. L’enigma significa l’infinito inesplorabile di fronte al quale si percepisce tutta la piccolezza come una insignificanza; il mistero significa la sovrabbondanza incalcolabile del dono che riempie di stupore e diventa chiamata al compimento di ogni speranza».
La sapienza e la scienza
Una sapienza, quest’ultima, «dei piccoli», fatta della grazia della rivelazione «che non contrasta e non sostituisce la ricerca della scienza e i meravigliosi risultati delle discipline scientifiche», avverte l’Arcivescovo che spiega. «Gli scienziati continuano a cercare oltre il 5% dei risultati acquisiti per calcolare il numero delle stelle, per sapere come funziona il sistema nervoso e ogni parte dell’organismo dei viventi, i piccoli continuano a ricevere la rivelazione del perché esistano le stelle e sanno che ogni cosa esiste per rivelare l’intenzione del Padre, che si è compiuta da Gesù. Non sappiamo il quanto e il come: sappiamo il perché».
A conclusione della Messa dall’Arcivescovo arriva ancora una parola di affidamento ripetuta in inglese e in spagnolo: «Invoco la benedizione del Signore che si stenda su tutta la città di Milano, per la Lombardia, perché sia regione che ama la vita e la genera, perché, con il lavoro e la solidarietà, costruisca una terra in cui sia desiderabile abitare, Invoco la benedizione del Signore per l’Oriente e l’Occidente, perché ci sia pace».
Poi, come tradizione, la discesa dell’Arcivescovo e dei concelebranti nella Cripta dove sono custodite le reliquie di Sant’Ambrogio, Gervaso e Protaso, per la recita della preghiera tratta da un celebre passo dell’opera del santo, De Virginibus e delle intercessioni.