«Sugli abusi sessuali il Pontefice invita tutti alla conversione dalla complicità nel male alla solidarietà nel dolore»: il teologo riflette sulla “Lettera al Popolo di Dio” nel primo di una serie di approfondimenti che dedichiamo ai pronunciamenti del Santo Padre, alla luce dell'esortazione rivolta dall'Arcivescovo ai fedeli ambrosiani nel Pontificale dell'8 settembre
di Annamaria
BRACCINI
Quel “volere bene al Papa” che non è un superficiale e vago modo di dire, un auspicio, magari un impegno solo formale per la comunità dei credenti, ma che ha alcune regole precise. Come non fermarsi alle pagine dei giornali che riportano e (spesso distorcono) il pensiero del successore di Pietro, ma tornare alle fonti, alla parola autentica e integrale di lettere, pronunciamenti, omelie e messaggi. Così come, a conclusione del Pontificale dell’8 settembre, l’Arcivescovo ha chiesto, dicendo, tra gli applausi, che «la Chiesa ambrosiana vuole bene al Papa, ma che occorre che questo voler bene sia basato sull’ascolto e su gesti precisi». Il riferimento è stato, per esempio, alla «Lettera al Popolo di Dio», dedicata al doloroso tema degli abusi sessuali e pubblicata il 20 agosto, e al discorso pronunciato a Dublino durante l’Incontro mondiale delle famiglie.
Come leggere questo che Delpini ha definito un “decreto”, ma che, ovviamente, è un invito molto serio rivolto dal Vescovo all’intera Chiesa ambrosiana? «Il nostro Arcivescovo ha intitolato il suo “decreto” “La Chiesa di Milano vuole bene al Papa” e l’ha accompagnato con alcuni adempimenti – sottolinea don Aristide Fumagalli, docente di Teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale -. Il primo di questi è ascoltare la viva voce del Papa e leggere i suoi testi, in modo tale che la conoscenza del suo insegnamento e del suo Magistero sia effettivamente personale. A questo riguardo non bastano certamente i titoli dei giornali, troppo parziali ed eventualmente troppo equivocabili. Il secondo adempimento è che questa conoscenza del Magistero, dei suoi discorsi, dei suoi testi, non sia ingenua, ma consapevole. L’Arcivescovo ha chiaramente presente che, come è immaginabile, si discutano le posizioni, anche le espressioni di ciò che il Papa propone. Il problema, tuttavia, nasce quando s’impugnano gli argomenti della discussione per screditare, per ferire l’altro. In questo senso, il richiamo a voler bene al Papa significa, invece, magari discutere all’interno della Chiesa, ma con l’obiettivo di approfondire la conoscenza e di alimentare la comunione».
Nella «Lettera al Popolo di Dio» papa Francesco chiede perdono, sottolinea la gravità degli abusi e chiede un atteggiamento di purificazione e di conversione. Come interpretare questo stile?
Con la fermezza e la decisione che gli sono caratteristiche, papa Francesco in questa documento sugli abusi sessuali di potere e di coscienza, chiede una trasformazione, quella vera conversione che potremmo forse definire così: dalla complicità nel male alla solidarietà nel dolore. La complicità nel male è la complicità in atrocità – così vengono chiamate dal Papa – che sono state commesse e che rappresentano una sorta di scandalo raddoppiato. Violenze perpetrate sfruttando il proprio ruolo, la propria autorità religiosa e poi coperte per evitare di infangare la buona fama della Chiesa. In realtà, questa operazione è, appunto, un raddoppio del male.
In che senso?
Nella Chiesa non ci sono, certamente, perfetti impeccabili, ci sono peccatori perdonati. Ma laddove non viene confessato il peccato non può nemmeno essere esercitato il perdono. In questo senso, quando il peccato viene coperto, assume tratti che sono, per certi versi, diabolici poiché si persevera piuttosto che purificarsi. La complicità nel male deve essere, allora, sostituita dalla solidarietà nel dolore. Si tratta di aprire gli occhi, non tenendoli chiusi su situazioni che possono essere violazioni dell’intimità fisica, psichica o della dignità morale delle persone, avendo il coraggio di denunciarle. Si tratta di aprire le orecchie, nel senso di consentire alle vittime di far sentire il grido che lungamente è stato soffocato. Si tratta di aprire il cuore, come dice il Papa: di soffrire con chi soffre, evocando quanto l’apostolo Paolo già insegnava. Si tratta di avere gli stessi sentimenti di Gesù nei confronti di chi è vittima. E questo è chiesto a tutti all’interno della Chiesa perché – fa notare ancora papa Francesco -, un’effettiva cultura che eviti in futuro qualsiasi situazione di danno a carico, in particolare, dei minori o di chi è fragile, deve vedere la comunione e la collaborazione di tutti. Ciò è richiesto a tutto il popolo di Dio, perché lui dice: «Se mancasse qualcuno, non si creerebbe un’effettiva cultura comune».
La preghiera e il cammino, in un pellegrinaggio di purificazione del cuore, potrebbero apparire ad alcuni come strumenti unicamente spirituali. Invece il Papa indica ai cristiani come questo stile si può vivere, magari quotidianamente, nel concreto…
Certamente. All’interno della «Lettera» Francesco dichiara che, per raggiungere lo scopo di una vera solidarietà con gli altri, è necessario sottrarsi alle nostre distrazioni, alle indifferenze, al nostro egoismo. In questo senso la preghiera ci rende sintonici al cuore di Gesù, il digiuno evita di sperperare risorse egoistiche e la penitenza – che è quella di chi, invece di dedicarsi al proprio piacere, mette a disposizione degli altri le risorse -, diventa un’effettiva possibilità di intraprendere un cammino. Il Papa non immagina la possibilità di risolvere queste situazioni con un colpo di spugna. Dice esplicitamente che non sarà mai abbastanza il perdono che verrà offerto e la riparazione di quello che è stato in passato. Così pure dice che non sarà mai poco tutto ciò che si farà effettivamente per comporre una nuova cultura in grado di eliminare ogni danno specie verso le persone più fragili.