Redazione
di Giorgio Basadonna
«Ho riletto il testamento del Santo Padre Paolo VI», scrive Giovanni Paolo II qualche mese dopo l’inizio del suo pontificato (6.3.79) e si ispira al suo predecessore col quale era nata una profonda amicizia. L’anno seguente aggiunge un particolare non da poco, «il mio grande predecessore e Padre Paolo VI», e si confronta con quanto lui aveva scritto, quasi per avere una consonanza e sentirsi accompagnato nel grande passo, ma ora nel cammino di cui nessuno conosce la finale. Il paragone diventa facile tra lui ancora pieno di vita e all’inizio del suo servizio apostolico, con «quella sublime testimonianza sulla morte di un cristiano e di un papa».
In questa commozione che ha preso un po’ tutti nel trapasso doloroso di Giovanni Paolo II, è consolante ritrovare nel suo predecessore lo stesso animo, la stessa dedizione, la stessa speranza e una chiarezza di posizione di fronte al mistero della morte. È facile ritrovare le parole con cui si apre il testamento di Paolo VI: «Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue nel lume di Cristo, che solo la rischiara».
Appare con chiarezza quante altre volte Giovanni Paolo II aveva dichiarato la sua ammirazione e il suo mettersi alla scuola del Papa che lo aveva creato cardinale e gli aveva affidato la predicazione degli esercizi spirituali agli appartenenti alla Curia romana.
Uguale espressione di ringraziamento al Signore per il dono della vita con tutta quella ricchezza di grazie particolari che accompagnano lo svolgersi dei giorni e degli anni, la ritroviamo nei due testamenti uniti nella celebrazione dell’amore infinito di Dio per colui al quale affiderà il tremendo compito di «pascere il suo gregge». Sono doni di fede, di educazione cristiana in seno alla famiglia e nelle chiese particolari dove lo Spirito chiama e incoraggia a rispondere.
Non ultima è anche la medesima scelta di una sepoltura semplice: «il sepolcro nella terra, non in un sarcofago» come aveva scritto Paolo VI: «circa i funerali: siano pii e semplici (Si tolga il sarcofago ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso)». Sono queste riflessioni semplici generate da una grande ammirazione per questi Pontefici così cari al cuore del popolo proprio per la loro profondità di fede e la santità della vita, vissuta in un quadro umile di servizio instancabile alla Chiesa e al mondo.
La lettura di questo testamento apre il cuore a una profonda fiducia nello Spirito Santo che sa condurre i suoi servi sulla strada di una sequela di Cristo luminosa e incoraggiante.