Il priore della Comunità, reduce da un viaggio in Ucraina, è a Rostock, dove fino al 1° gennaio è in corso il tradizionale Incontro europeo, giunto alla 45ma edizione e a cui partecipano 5.000 giovani
di Maria Chiara
Biagioni
Agensir
«Ho trovato il coraggio nelle avversità di questa enorme prova e la perseveranza nella fede». Un popolo fortemente toccato dalla guerra ma che non rimane passivo di fronte alle difficoltà. Fr. Alois, priore della Comunità ecumenica di Taizé, è appena tornato da un viaggio in Ucraina dove per cinque giorni, ha visitato i responsabili delle Chiese e incontrato i giovani nelle città di Kiev e Leopoli. Lo abbiamo intervistato mentre si trova a Rostock, in Germania, dove fino al 1° gennaio si svolge il tradizionale Incontro europeo dei giovani. Giunto alla 45ma edizione, all’incontro partecipano 5.000 giovani provenienti da tutta Europa e oltre. Ci sarà anche l’ex-presidente della Repubblica federale di Germania, Joachim Gauck, che interverrà alla preghiera delle 13 del 30 dicembre.
Fr. Alois, quale situazione avete trovato in Ucraina?
Anche se si ha l’impressione, come a Leopoli o a Kiev, che la vita continui, la situazione è dura. Tutti sono stati toccati. Tutti conoscono qualcuno che è morto in guerra. Ma, in particolare la Notte di Natale, siamo rimasti molto colpiti nel vedere la gioia in questo tempo di prova. Ed è in effetti il messaggio stesso di Natale. La luce che viene nella oscurità. Lo abbiamo visto anche nell’unità tra le persone e nella solidarietà nella popolazione che è impressionante.
C’è unità anche tra le Chiese?
Sì, anche se restano delle tensioni perché la situazione tra le Chiese non è facile. Abbiamo avuto in questi giorni incontri con giovani e i responsabili delle principali confessioni sia a Kiev che a Leopoli. A Taizé abbiamo accolto, prima della guerra e del Covid, molti giovani ucraini che hanno partecipato sempre ai nostri incontri. Questi giovani promuovono ora e sostengono l’unità tra le loro Chiese. È incredibile che alcuni di loro riusciranno a partecipare all’incontro di Rostock. Noi pensiamo che l’incontro personale sia insostituibile.
Che cosa l’ha colpita di più della situazione umanitaria in Ucraina?
L’elettricità, per esempio, salta in alcuni quartieri delle città più volte al giorno, a volte a Kiev per due o tre giorni consecutivi. E questo implica che con la luce salta anche il riscaldamento, l’acqua calda, la connessione Internet. Questo ha un impatto forte sulla vita quotidiana delle persone. Abbiamo avuto due preghiere con i giovani in quartieri che ad un certo punto sono sprofondati nella più completa oscurità. Si sono accese delle candele. La vita è difficile ma allo stesso tempo abbiamo incontrato dei giovani che hanno preso delle iniziative molto coraggiose. Si è costituito, per esempio, un movimento di giovani che vanno in tutto il paese a ricostruire le case danneggiate dalla guerra. Era veramente commovente vedere come da una parte questi giovani siano stati toccati nel cuore dalla guerra ma dall’altra come siano riusciti a non rimanere passivi di fronte alle avversità, decidendo di fare qualcosa per gli altri.
E noi, qui in Italia, cosa possiamo fare per loro?
Non tutti possono andare in Ucraina, ma tutti possono fare azioni di solidarietà. Ho sentito dire lì spesso questa frase: «Se l’aiuto solidale dei Paesi occidentali vicini si ferma, noi siamo perduti».
Come vede il futuro di questi giovani su una terra cosi provata dalla guerra?
Nessuno lo sa. Durante un incontro, una ragazza ha detto: «Per quanto tempo ancora dobbiamo vivere così?». Nessuno ha la risposta. Un altro ha detto: «Noi viviamo giorno per giorno. Non sappiamo cosa sarà del nostro avvenire». C’è dunque questa incertezza, ma allo stesso tempo abbiamo visto che le iniziative di solidarietà si sono moltiplicate. Siamo andati a Bucha e a Irpin, le città martiri, dove la vita ha ripreso ma le tracce della guerra sono ancora molto visibili. Abbiamo visto case bruciate, finestre rotte. Ma in mezzo a tutta questa distruzione si sono organizzati punti di accoglienza, veri e propri “luoghi di resilienza” dove le persone possono andare per riscaldarsi, ricaricare il computer, poter accedere a trattamenti medici.
Cosa dirà ai giovani di Rostock di questa esperienza?
Parlerò soprattutto di questa testimonianza di fede. È la fede che fa stare in piedi, anche quando attraversiamo tempi difficili. E questo vale non soltanto in guerra, ma in tutte le prove della vita. Abbiamo preparato un testo per l’incontro dal titolo “Vita interiore e solidarietà”. L’importanza della solidarietà è lampante. Non solo verso gli ucraini, ma anche verso i rifugiati, verso le situazioni di precarietà che aumenta anche nei nostri paesi ricchi. Ma senza una vita interiore nella fede non possiamo perseverare nella solidarietà e nella gioia del Vangelo, nelle situazioni difficili che attraversiamo ovunque.
L’altra questione è la riconciliazione. Come si costruiscono relazioni riconciliate?
È vero. Soprattutto nelle situazioni di difficoltà, è facile prendere vie identitarie forti, ritirarsi o chiudersi. Per vincere questa resistenza, occorre cercare innanzitutto la pace del cuore e cominciare a creare luoghi riconciliati attorno a noi. A Rostock siamo molto lieti nel vedere che le famiglie hanno scelto di aprire le loro case ai giovani per dare ospitalità. È un gesto forte che mostra l’importanza dell’apertura verso l’altro e del superamento delle nostre paure ad accoglierlo, soprattutto se diverso da noi. Non dobbiamo restare con chi la pensa come noi. Gesù stesso ha detto: Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Questo è il messaggio al cuore del Vangelo, andare verso gli altri, soprattutto verso chi è ferito dalla vita, con semplicità e gesti concreti di solidarietà.