Alle 8.30 la Messa dell’Arcivescovo. Un percorso devozionale per ricevere il pane benedetto. I frati minori spiegano l’attività

di Marta VALAGUSSA

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Sabato 13 giugno, in occasione della festa di Sant’Antonio da Padova, alle 8.30, l’Arcivescovo celebrerà la Santa Messa nel Convento di Sant’Antonio in via Carlo Farini 10 a Milano.

«Si tratta di un appuntamento fisso per noi – dice fra Saverio Biasi, guardiano del convento dei frati minori -. Ma quest’anno la visita del vescovo assumerà un significato particolare, soprattutto per il tempo di pandemia appena trascorso. Sarà una bella occasione per accogliere il pastore di questa Chiesa e per dirgli che ci siamo, con gioia, e nello spirito di Francesco d’Assisi. Desideriamo mostrargli ciò che siamo e ciò che stiamo facendo per e nella Chiesa di Milano».

Il 13 giugno saranno attivati due percorsi: quello della liturgia, con la celebrazione delle Messe nel Santuario, all’interno del quale possono entrare 120 persone al massimo; e un secondo percorso, devozionale al Santo, nella ex chiesa dell’Immacolata, dove le persone potranno entrare distanziate e scaglionate per accendere un cero, ricevere il pane benedetto, un giglio e l’acqua santa.

Il Centro Sant’Antonio, annesso al santuario di Sant’Antonio da Padova e al convento dei frati minori, offre regolarmente il servizio mensa, il servizio guardaroba, il servizio docce e un centro di ascolto. Fruitori sono migranti, anziani e disoccupati. Fra Carlo Cavallari, responsabile del Centro Sant’Antonio, racconta come i frati della comunità si sono organizzati per far fronte alla pandemia Covid-19 e per continuare a garantire il servizio mensa ai poveri della città di Milano: «Non abbiamo mai chiuso la mensa. Ma da fine febbraio i nostri ospiti non sono più potuti venire come prima e abbiamo provveduto alla distribuzione dei sacchetti. Certo, non è la stessa cosa dare il sacchetto, ma almeno siamo riusciti a continuare a garantire il pasto».

In che modo è cambiata la vostra organizzazione?
I volontari sono diminuiti, per motivi di sicurezza. Però i numeri delle persone che abbiamo aiutato sono aumentati. Prima accoglievamo circa 90 persone al giorno in mensa, ora siamo arrivati a preparare 180 sacchetti al giorno. Abbiamo continuato a garantire gli accessi al centro d’ascolto, seppure contingentati, per la sanificazione, perché molti servizi in città avevano chiuso: abbiamo dato la possibilità di farsi la barba e la doccia, con sei appuntamenti al mattino e nove al pomeriggio. Inizialmente abbiamo chiuso il servizio guardaroba, a causa dell’esiguità degli spazi e della scarsità dei volontari, ma dall’inizio di maggio abbiamo ripreso la distribuzione dei vestiti.

Non avete mai pensato di avere un peso eccessivo sulle spalle?
Vivo qui da sette anni e ho sempre sostenuto che lo stile del Centro dovesse essere caratterizzato dalla minorità e dalla consapevolezza del limite. Non ci stanno a cuore i numeri, ma le persone e le relazioni. Non siamo qui per risolvere problemi, ma per condividere la vita. Questo è stato per noi un tempo di verifica, che ci sta dando conferme sullo stile messo in campo finora. Consci del nostro limite, siamo stati costretti anche a dire dei “no”, cosa che, seppur frustrante, ci restituisce la minorità che abbiamo scelto. Cerchiamo di fare bene il poco che possiamo fare! Contenti di vivere da fratelli con altre realtà caritative presenti in città, con cui si porta il carico di questa emergenza. Poi, chi salva è Gesù Cristo, non di certo i frati.

Cosa avete imparato da questi mesi?
Stare in ascolto della città e dei suoi bisogni attuali. Adesso bisogna proprio ascoltarli a breve raggio, avere le antenne alzate, guardare avanti, ma senza correre troppo. È confortante però vedere la gran quantità di bene che circola in città. La sfida ora è incanalare questo bene e lanciare lo sguardo oltre gli steccati.

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