Alla Festa delle Genti l'Arcivescovo ha esortato le comunità di migranti a condividere ciascuna i propri carismi nella Chiesa sinodale, vincendo la tentazione di vivere divisi in "isole" di soli connazionali
di Annamaria
BRACCINI
«Tutti siamo migranti e per questo dobbiamo costruire una Chiesa che non sia fatta solo di passato, ma di futuro, di gioia e di speranza». Quella Chiesa dalle genti, che non è un progetto o unicamente un Sinodo, per quanto importante, ma una realtà che si rende evidente nei canti di tante tradizioni, nei diversi accenti dei lettori, nelle vesti e nei tratti somatici dei moltissimi che partecipano alla Messa della Solennità di Pentecoste, in cui ricorre la Festa Diocesana delle Genti. Festa che torna ai numeri prepandemici, proponendo anche momenti di animazione e conviviali, come il pranzo comunitario con cucina etnica e gli stand di prodotti e manufatti tipici. Ma al cuore della giornata è, naturalmente, la Celebrazione che l’Arcivescovo presiede, all’aperto, nello spazio verde della Cascina Grande di Rozzano, anch’esso luogo simbolico di condivisione e di socializzazione, specie per i più giovani e le scuole, con le sue architetture tipiche delle nostre terre rurali, che parlano insieme di antico e del domani, con il moderno restauro e la ricchissima biblioteca. Diciotto le comunità migranti presenti, la più numerosa è la realtà filippina, con i loro Ministri del culto – 24 i concelebranti tra cui il responsabile della Comunità pastorale cittadina, “Discepoli di Emmaus”, don Roberto Soffientini – che esprimono tutto il loro affetto all’Arcivescovo, come dice nel saluto introduttivo don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della Diocesi.
Lavorare sempre più in sinergia
«La presenza, sull’altare, della croce del Sinodo minore Chiesa dalle genti ci ricorda che sono passati 5 anni dalla sua celebrazione ed è l’occasione propizia per fare il punto. Per questo – annuncia don Vitali – da oggi al 3 novembre prossimo, anniversario della chiusura del Sinodo, vogliamo realizzare un’attenta verifica del lavoro svolto dalla Consulta diocesana per la Chiesa dalle genti e dall’équipe territoriale di Pastorale dei migranti. Le chiediamo di accompagnarci con la preghiera allo Spirito e buone indicazioni», continua Vitali che ricorda la presenza, per la prima volta alla Festa, dei «servizi di realtà ecclesiali e dell’Ordine di Malta che offrono concretamente accoglienza e accompagnamento a coloro che sono appena arrivati o vivono momenti di difficoltà». «Vogliamo lavorare sempre più in sinergia, affinché la carità sia attenta, discreta ed efficace e le situazioni, per quanto disagiate, diventino autentiche occasioni di incontro», conclude.
Insomma, una vera condivisione come testimonia sempre la Festa diocesana delle Genti, intitolata quest’anno “Collaboratori della vostra gioia” con le parole della seconda Lettera paolina ai Corinzi. Una gioia da realizzare insieme ciascuno con i propri doni e carismi contro ogni tentazione di chiusura, come sottolinea l’Arcivescovo nell’omelia della Messa a cui prendono parte anche le autorità militari e civili del territorio, con il sindaco di Rozzano, Gianni Ferretti e membri del Consiglio comunale. Il primo pensiero, come è ovvio, è per i migranti, metafora di tutti noi.
Chiamati a costruire insieme la Chiesa dalle genti
«Sono tristi, sono arrabbiati, si lamentano perché vivono un vita difficile, si rendono conto che la loro terra è avara di frutti, non piove mai e, quindi, anche l’esistenza diventa un essere inariditi. Ma questa umanità scoraggiata, riceve la visita del figlio di Dio che invita a prendere acqua viva per la sete di tutti. E, allora, il dono dello Spirito ci permette di riconoscere e di ascoltare Gesù presente. Siamo qui, provenendo da tanti i Paesi del mondo, per trovare l’acqua che zampilla per la vita eterna. Talvolta, qualcuno si porta dentro la nostalgia del passato e, talvolta, la gioia di aver trovato una terra ospitale, ma sappiamo che ciò che ci unisce e ci raduna oggi, non è solo il desiderio di fare festa, ma il Signore vivo».
Il richiamo del vescovo Mario è, ovviamente, al significato della Pentecoste con la discesa dello Spirito. «Lo spirito di Dio ci riempie di doni particolari, ma sempre per il bene comune: solo così, riconosciamo i tesori che Dio opera sulla faccia della terra, non i beni materiali, non le ricchezze che magari possono essere utilizzate per fare la guerra, ma i doni che il Signore ha messo dentro ciascuno di noi. Chiediti – scandisce rivolgendosi direttamente ai fedeli che ha di fronte – quale è il tuo dono e quello della tua cappellania, della tua gente».
Chiarissimo, quindi, l’invito. «Talvolta, ho l’impressione che i migranti e le comunità abbiano un complesso di inferiorità: la tentazione è che ciascuno tenga per sé i suoi doni. Invece, non dobbiamo nascondere sotto terra il talento da qualsiasi parte venga. Nessuno sottovaluti il proprio carisma e lo spirito originario. La vostra fede può fare crescere quella di coloro che, qui, si sono stancati di credere, il vostro desiderio di avere bambini può rinnovare la vita di questo Paese in cui ci sono pochi bambini, il vostro desiderio di imparare una lingua, può aprire orizzonti a coloro che si sono impigriti a parlare la loro stessa lingua. Il vostro modo di celebrare la liturgia può rendere viva una liturgia che, a volte, si è resa noiosa e ripetitiva. Non sottovalutate la terra da cui venite, ma non create nemmeno una sorta di isole in cui vive solo gente trapiantata da un singolo Paese. Siamo chiamati a costruire la Chiesa dalle genti, non tante Chiese particolari in cui ci si rinchiude come in una riserva. Chiamati a costruire la Chiesa del futuro, non ad aver nostalgia di quella del passato».
Il cammino delle Assemblee sinodali decanali
Non manca il riferimento al cammino sinodale che la Diocesi sta vivendo e nel quale le cappellanie devono essere partecipi a pieno titolo. «La nostra Chiesa ambrosiana ha avviato i Gruppi Barnaba per esplorare il territorio e riconoscerne le ricchezze. Mi chiedo se i Gruppi Barnaba sono venuti da voi e vi hanno ascoltato e se voi avete detto qualcosa. Ora che l’Assemblea sinodale decanale decide le vie della missione, per evangelizzare questa terra è necessario che ognuno metta a disposizione il proprio dono e non si corra il rischio di doni seppelliti o disprezzati per la supponenza di chi crede di non avere nulla da imparare. Noi camminiamo in una terra ricca di tesori e, anche se siamo tentati di dire che è arida e troppo complicata da presenze difficili da coordinare, siamo qui per sperimentare che questa stessa terra si raduna e trova fecondità intorno a Gesù. Insieme costruiamo la Chiesa dalle genti, iniziamo un cammino per verificare se il Sinodo minore ha portato frutto e cosa manca per realizzare ciò che è scritto nei documenti. Un cammino di verifica per riconoscere anche i nostri limiti e chiedere scusa dei nostri sbagli. Insieme ringraziamo il Signore perché ci ha dato il suo Spirito, ci ha arricchito di doni e ci ha donato la fede perché noi possiamo riconoscerlo nello spezzare del pane».
Poi, ancora tanti momenti di forte suggestione come la preghiera dei fedeli – letta a turno da appartenenti alle comunità brasiliana, cinese, francese, filippina e ucraina, quando si implora la pace – o l’offertorio con la danza in processione delle aggraziate ragazze dello Sri Lanka nei loro multicolori costumi. La preghiera di ringraziamento, animata dalla comunità polacca e la benedizione concludono la celebrazione prima della festa popolare, in una mattinata piena di luce in tutti i sensi che, per il vescovo Mario, era iniziata con la visita dell’Osservatorio astronomico della Cascina Grande (inaugurato da un giorno) e l’osservazione il sole attraverso uno specifico telescopio.
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