Nella chiesa dell'Annunciata l'Arcivescovo ha celebrato la solennità. Al termine ha visitato l'Infopoint del nuovo Policlinico, che sarà operativo nel 2025: «Non si può curare il corpo senza curare l'anima»
di Annamaria
BRACCINI
Di fronte a un’umanità «ferita, malata, mortale», la sola vera salvezza è quella che viene dall’amore di Dio con il «dono di Gesù che riempie di grazia la tribolata vicenda umana e abita la storia come una storia di libertà». È questo il messaggio che l’Arcivescovo lascia ai molti che gremiscono la chiesa di Santa Maria Annunciata di cui, dai tempi di San Carlo, gli Arcivescovi di Milano sono parroci. Come tradizione, quindi, nella Solennità dell’Annunciazione, il “parroco” dell’Annunciata, interna al complesso storico della Ca’ Granda – oggi Sede nell’Università degli Studi – presiede l’Eucaristia. Momento importante per la città, insieme religioso e civile, perché il 25 marzo di ogni anno dispari, dal 1459, si celebra anche la Festa del Perdono, quest’anno la 282esima.
Presenti il presidente della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Marco Giachetti, i direttori e i vertici dell’Ente, il rettore della Statale Elio Franzini e tanti studenti, concelebrano, tra gli altri, i Cappellani del Policlinico – don Giuseppe Scalvini e don Marco Gianola -, della Statale e responsabile della Pastorale universitaria don Marco Cianci e il responsabile del Servizio per la Pastorale della Salute don Paolo Fontana. A portare il saluto di benvenuto è don Scalvini che sottolinea tre parole, «l’annuncio il perdono, la festa». Come quella dell’Annunciazione che, dice nell’omelia l’Arcivescovo, «è la festa che celebriamo perché, nella sua singolarità straordinaria, è una rivelazione di come si compie la salvezza secondo il desiderio di Dio». E di come l’«eccomi», pronunciato da Maria, possa essere anche il nostro, vivendo «ogni situazione come occasione per amare» anche nelle situazioni più difficili.
L’omelia
Infatti, «la malattia, per quanto si faccia per guarirla, per alleviare il dolore, per quanto si dica che è naturale, è sempre vissuta come una esperienza che inquieta, sconcerta, suscita rabbia, genera paura. La morte, per quanto si possa dire che è naturale, per quanto si possa renderla dolce, resta sempre una tenebra che spaventa». Eppure, non bastano «i sapienti, gli esperti, i maghi, gli scienziati, gli indagatori per risolvere questo grande enigma. «Nessuna pratica guarisce l’umanità malata», spiega, il vescovo Mario. «Non una pratica, ma la grazia. Non un protocollo, un rito, un sacrificio, ma il dono», la salvano. «L’annunciazione rivela la via che Dio ha scelto per porre rimedio al male, la via di Gesù. La salvezza che Dio opera, non mette al riparo dalle malattie, ma rende possibile attraversare le difficoltà amando; non rende facile la vita. Non impedisce alla morte di aggredire la vita, ma rende possibile vivere anche la morte amando».
L’inaugurazione dell’Infopoint del Nuovo Policlinico
Poi, sempre nella mattinata, l’inaugurazione dell’infopoint del Policlinico che sta sorgendo nella grande area centrale della struttura ospedaliera come luogo di eccellenza medica e di progettazione architettonica all’avanguardia, con la conclusione dei lavori fissata al 30 ottobre 2024. 900 i posti letto nel Nuovo Policlinico (come quelli delle parti vecchie e abbattute); 2,8 milioni le prestazioni annue effettuate fino adoggi (mai si è interrotta l’attività ordinaria dell’Ircss) con un numero che si conta di incrementare; 201 mln di euro, il costo di realizzazione di cui il 67% (165 mln) coperto con risorse proprie; 36 mln provenienti dal Ministero della Salute e 30 mln da Regione Lombardia, per cui non si peserà, dal punto di vista dell’onerosità dell’iniziativa, sulla cittadinanza.
«Le grandi imprese non si fanno mai da soli – sottolineano Marco Giachetti, presidente del Policlinico di Milano e il direttore generale Ezio Belleri – e il Policlinico può contare su tante squadre. Una di queste è composta da migliaia di persone: sono i benefattori, che da sempre sostengono l’Ospedale con lasciti e donazioni, permettendogli di crescere non solo in valore e capacità, ma anche fisicamente. Il Nuovo Ospedale, infatti, viene costruito in gran parte con risorse interne, derivate dalla vendita e valorizzazione degli immobili lasciati dai cittadini nei secoli e dalle donazioni che giungono ancora oggi. Il Policlinico, dunque, riceve beneficenza, ma è capace di essere anch’esso promotore di filantropia, valorizzando in chiave innovativa il proprio patrimonio e restituendolo alla città sotto forma di un nuovo luogo di cura, nuovi alloggi in housing sociale e nuovo verde a disposizione di tutti».
Una sorta di “restituzione” alla città, quindi: un ospedale nato pubblico nel 1495 grazie a papa Pio II che continua nella sua storia, come hanno evidenziato, concordi, il rettore Franzini, il sindaco Beppe Sala, che parla di «un senso profondamente milanese che è quello della solidarietà, un rito ambrosiano che è la capacità di essere insieme a fare le cose», del rappresentante del presidente della Regione, l’assessore al welfare Guido Bertolaso.
Il senso spirituale della Festa del Perdono
A prendere la parola è anche l’Arcivescovo: «Questa festa ha un nome un poco sorprendente, il perdono, la festa in cui si riflette sul tema della ricchezza come di un peccato, per cui chiedere perdono, a causa delle tentazioni che vi sono collegate: la vanità che cerca di esibire le sue proprietà e possibilità, la tentazione dell’orgoglio, di quell’avere mezzi che fa sentire al sicuro e la scriteriata ingiustizia, per cui il malvagio si arricchisce tendendo insidie al povero, come si legge nelle Scritture».
L’istituzione della Festa del Perdono entra in questa logica, «ma la ricchezza nel Vangelo è anche interpretata come responsabilità», scandisce ancora, in riferimento alla parabola dei talenti. Noi celebriamo questa Festa perché «ammiriamo benefattori grandi e piccoli e il loro uso della ricchezza come di un dono, un supporto per questa grande impresa che ha anche un valore spirituale di accoglienza, cura, scienza, come testimonia l’esistenza della parrocchia della Ca’ Granda. Anche per questo, mi sento in dovere di riproporre e mettere a tema la riflessione sul futuro della cura e del bene complessivo della persona che è anche speranza. È importante riflettere sul fatto che non si può curare il corpo senza curare l’anima. Nella visione complessiva della salute mi sembra che si debba progettare la possibilità di guardare al futuro con fiducia e fierezza».