Il senso della vocazione sacerdotale al centro dell’omelia dell’Arcivescovo per la celebrazione nella giornata dedicata a importanti anniversari di ministero e ai futuri presbiteri

di Annamaria Braccini

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Una festa per celebrare la grazia «di quell’ora in cui abbiamo detto “Eccomi”»; festa attesa, fatta di gioia e di condivisione, piena di sole, che torna nella sua veste tradizionale dopo due anni vissuti in modo non facile anche nel Seminario arcivescovile di Venegono.

Nella Festa dei Fiori 2022 (leggi qui la presentazione) si sottolineano tanti significativi anniversari di ordinazione di sacerdoti ambrosiani, come il 75esimo di Messa del “decano”, il centenario don Emilio Caprotti (che è presente), il 70esimo del vescovo monsignor Angelo Mascheroni e il 60esimo del cardinale Francesco Coccopalmerio e di monsignor Emilio Patriarca (dal 2014 vescovo emerito di Monze, in Zambia). Anche l’Arcivescovo festeggia il suo 15esimo di ordinazione episcopale. Il cardinale Scola, impossibilitato a intervenire, invia un messaggio.

E, poi, naturalmente, la festa è per la presentazione ufficiale dei 22 diaconi che diventeranno sacerdoti l’11 giugno prossimo in Duomo.

Ciceri, santo nella semplicità

Presso la grande Aula Paolo VI, come sempre la mattinata si apre con testimonianze e riflessioni, quest’anno nel nome di don Mario Ciceri (vedi qui lo speciale a lui dedicato) e di altri presbiteri diocesani elevati agli onori degli altari, come ricorda monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio per le Cause dei Santi nella sua comunicazione.

«Cosa significhi essere prete, lo impariamo esercitando il Ministero, ma anche incontrando sacerdoti in carne e ossa, esperienze presbiterali buone e convincenti», osserva il rettore del Seminario, don Enrico Castagna, dando la parola a monsignor Apeciti.

«La beatificazione, più che a fare memoria, serve a indicare un’esemplarità – rileva quest’ultimo -. Abbiamo avuto preti santi missionari come Giovanni Battista Mazzucconi o Clemente Vismara e i parroci Serafino Morazzone e don Luigi Monza, il coadiutore don Mario Ciceri e fondatori come lo stesso Monza, don Carlo Gnocchi (questi ultimi tre pressoché coetanei), don Luigi Biraghi e don Luigi Talamoni. Questo pool di santi cresciuti in Seminario assorbì l’insegnamento dei propri vescovi, anzitutto il cardinale Ferrari – che anticipò in qualche modo papa Francesco con l’idea della “Chiesa in uscita” -, poi Eugenio Tosi e, naturalmente, Schuster. Tutti convinti che chiunque può vivere la santità, come disse proprio il beato Schuster a Venegono, due settimane prima di morire nel 1954: “Altro non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega”».

Il pensiero torna al neobeato, «un prete del suo tempo, che visse la spiritualità di allora, fece una vita semplice», testimoniando «quelle virtù sempre apprezzate nella società umana, come la gentilezza d’animo, la generosità, la bontà, la continua cura della giustizia», per usare un’espressione della Presbyterorum Ordinis. Insomma, «un prete semplicemente fedele, in parrocchia, non avendo paura di essere profeta fermissimo – come tutti coloro che si trovarono a operare in epoca fascista -, nel difendere la Chiesa e il Vangelo. Vicino ai suoi giovani comunque con ottimismo: si pensi a Voce amica, il bollettino di collegamento tra la parrocchia e i militari sulbiatesi al fronte nella seconda guerra mondiale».

La conclusione è suggellata da una frase di san Giovanni Paolo II nella sua ultima lettera al clero per il Giovedì santo 2005: «Un sacerdote conquistato da Cristo, più facilmente conquista altri alla decisione di correre a stessa avventura».

Patriarca: ambrosiano in Africa

A portare la sua esperienza, vissuta per gran parte in Africa, è monsignor Patriarca, dal 1967 al 1981 a Lusitu in Zambia, coadiutore e parroco in altre realtà del Paese e, dal ‘99 al 2014, vescovo di Monze.

Tra le tante gioie, ma anche decisioni non facili da prendere, monsignor Patriarca disegna, così, la sua vita di fidei donum sempre radicato nella propria origine di prete ambrosiano. «Ciò che ho ricevuto – dice – non è una o più cose, ma come sono diventato camminando per anni con persone che hanno una cultura e una storia differente dalla mia, in una Chiesa locale in cui lo Spirito è presente con doni particolari. Noi siamo portati a pensare che l’incontro con il diverso sia un problema, ma non è detto che sia negativo: è un’opportunità che dipende da noi comprendere e cogliere». 

La celebrazione in Basilica

Poi, in una Basilica finalmente affollata, la celebrazione eucaristica, presieduta dal cardinale Coccopalmerio, concelebrata dall’Arcivescovo, dagli altri Vescovi (tra cui un presule proveniente da Bunda, in Tanzania), dai membri del Cem e da tutti i sacerdoti.

«Desideriamo sintonizzarci con il Magnificat di Dio per ogni eccomi che si alza, per ogni nuova vocazione. La gioia di Dio ci aiuti in questo momento in cui la sproporzione tra le sfide che ci attendono e i nostri numeri e vigore si fa sempre più evidente», dice il Rettore nel suo saluto di benvenuto. Per l’occasione viene posta nel presbiterio la reliquia don Ciceri, donata dalla Comunità pastorale Regina degli Apostoli (di cui fa parte Sulbiate) e dall’Associazione don Mario Ciceri.

L’omelia dell’Arcivescovo

«Celebro la grazia di questo momento, quando anni fa, oppure anche oggi, è stata rivolta la parola e noi l’abbiamo accolta e questo è tutto. Questa festa è per riconoscere che c’è stata quell’ora e che è l’unica cosa che conta», scandisce l’Arcivescovo nell’omelia (leggi qui il testo integrale) parlando dei giorni dell’incertezza, dell’inquietudine fino allo smarrimento, «del tempo delle libertà sospese e della confusione», magari anche della semplice attesa, vinti dai giorni del discernimento se questo è veramente tale. «Perché c’è anche il rischio che si chiami discernimento l’incertezza, una irrisolta insicurezza, una diffidenza radicata come un principio di tristezza».

E c’è, invece, l’ora della salvezza e dell’obbedienza. «Viene il momento in cui la libertà si compie e diventa amore, la vita è generata e diventa dedizione, la rivelazione è compiuta e diventa gioia. Viene il momento in cui inizia la vita nuova, in cui il discepolo riceve la parola e semplicemente la esegue», seguendo il Signore.

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«Celebro la bellezza della parola che ha convinto alla consegna irrevocabile del presente e del futuro, dei talenti e delle povertà, dell’immaginato, dell’atteso e dell’impensato, tutto compiuto in un “Eccomi”, intimo e segreto, poi pubblico e solenne». «Celebro la grazia della semplicità, dell’amicizia persuasiva» di Gesù che chiama amici, «dello stupore» per essere stati scelti senza meriti particolari; «dell’ammirazione per gli altri», anche loro «chiamati amici».

«Celebro la grazia della libertà: non ci trattengono legami, come se non avessimo morti da seppellire o parenti da salutare. Liberi, come se non avessimo paura per noi stessi, per quello che potrebbe capitare. Liberi: non ripiegati nell’ossessione di verificare il nostro benessere, non inclini a domandarci se siamo abbastanza apprezzati, riconosciuti, benvoluti».

Le parole di Coccopalmerio e la festa

Al termine della Messa, a portare il suo ringraziamento «per un’accoglienza così affettuosa», è il cardinale Coccopalmerio, anche a nome dei suoi compagni della classe del 1962 («magnifica», come la definisce: 11 i viventi degli allora 31 ordinati: «La ricetta per un buon sacerdozio? Innamoramento di Gesù e attesa sicura della grazia in paradiso. Viene da qui la luce e la forza per una sempre più intensa donazione pastorale ai fratelli».

Infine, nel quadriportico del Quadriennio, il momento conviviale e la presentazione dei candidati con il Cardinale e l’Arcivescovo che, incoronati con un serto di alloro come imperatori antichi, assistono all’animazione proposta dai futuri preti 2022.

Arrivano anche due editti dell’Arcivescovo. Quello «di Gedeone», per cui scherzosamente dice ai candidati: «Siete troppi quest’anno, terremo solo coloro che non avranno paura delle fiere» (in verità sull’erba il gioco è riuscire a prendere alcune galline del pollaio interno al Seminario). E poi quello «del Quadrivio»: «Quando siete a un incrocio e non sapete dove andare, andate in alto», scandisce, mentre verso l’alto vengono liberati tanti palloncini colorati con il motto dei futuri preti: «Io sono con voi».

 

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