Nella basilica di Sant'Ambrogio gremita di amici, volontari, persone sostenute da "Sant'Egidio", sono stati ricordati, nella Messa presieduta dall'Arcivescovo, i 50 anni della Comunità fondata il 7 febbraio 1968

sant'egidio anniversario delpini (H)

50 anni di storia. Un passato che, ormai si può, a pieno titolo, definire grande quanto il mondo e un futuro altrettanto grande per continuare a essere una presenza cristiana viva nella società.
Questa è oggi la Comunità di Sant’Egidio, nata dall’intuizione di Andrea Riccardi e di un gruppo di liceali del “Virgilio” di Roma e che, dopo mezzo secolo, è diffusa in tutti i Continenti, in 70 Paesi con oltre 60mila persone, di ogni età e condizione sociale, impegnate nelle numerosissime iniziative promosse. Dal sostegno ai poveri del sud del pianeta a quelli di casa nostra, dall’aiuto ai profughi portato in zone di guerra all’azione di pace intavolata ai massimi livelli istituzionali e internazionali, dal lavoro sulle frontiere della disabilità, dell’emarginazione, della solitudine, del disagio psichico, alla preghiera per i malati, celebrata coralmente, ogni secondo martedì del mese, anche a Milano presso a Chiesa di San Bernardino alle Monache.
Insomma, “la Comunità delle 3 P”, Preghiera, Poveri, Pace, come l’ha definita papa Francesco che ha voluto anch’egli celebrare, in Santa Maria in Trastevere, il 50esimo, lo scorso 13 marzo, con il più importante dei moltissimi eventi in ogni Paese che, in questi mesi, ricordano un “compleanno” tanto importante.
Così a Milano a festeggiare l’anniversario è ancora un’Eucaristia presieduta dall’Arcivescovo nella Basilica di Sant’Ambrogio gremita di amici di “Sant’Egidio”: in prima fila il presidente nazionale, Marco Impagliazzo, Milena Santerini, tra le fondatrici, il referente per la realtà milanese, Ulderico Maggi, ma soprattutto, gli operatori, i giovani, i bambini e gli adolescenti cresciuti alle Scuole della Pace, le famiglie rom, gli immigrati, tra cui un gruppo di coloro che sono stati accolti al Memoriale della Shoah, in accordo con la Comunità Ebraica di Milano e una famiglia siriana giunta in Italia grazie ai corridoi umanitari.
Tante anche le autorità: il vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo, in rappresentanza del Comune, il direttore di Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti, Livia Pomodoro. Una ventina i concelebranti; non mancano alcuni Ministri delle Chiese cristiane, Ortodosse e Protestanti, come la pastora Vickie Sims della Chiesa anglicana che ha ospitato il pranzo di Natale di “Sant’Egidio” a Milano, o padre Makar del Patriarcato di Mosca che lavora anche con i giovani della Comunità.
Subito, all’inizio della Celebrazione, monsignor Delpini dà voce al ringraziamento dell’intera Diocesi, e suo personale, «per le molte opere di bene che hanno trovato nella preghiera e nella fraternità, la loro sorgente e forza e si sono irradiate in tante parti del mondo, in tante forme e attenzioni intelligenti verso persone che hanno bisogno di essere amate aiutate,soccorse».
Parole, queste, che ritornano nell’omelia, guidata dalle Letture appena proclamate.
A volte si ha l’impressione di incontrare discepoli di Gesù che non sono contenti, osserva il vescovo Mario,
«ma noi siamo qui a celebrare questo cinquantesimo come una festa, ciò che l’esperienza di Gesù conferma.
Vorrei chiedervi di continuare a fare il bene e a essere attenti, con tanta intelligenza, ai bisogni e alle persone. Risplenda la gioia in quelli che fanno il bene e che la beatitudine si possa riconoscere nei discepoli che imitano il Maestro».
E, ancora: «Vorrei chiedere che realizziate il volto di un Cristianesimo che compie il bene e ne è lieto».
Ma quale è il segreto della beatitudine che Gesù promette ai suoi discepoli? Lo spunto viene dalla Parola di Dio.
«Una prima radice, decisiva, è che la pratica della carità permette di incontrare Gesù in persona: chi vive Cristo trova la sua gioia in Lui in una relazione personale, in uno sguardo che incrocia il Signore che amiamo e che desidera il compimento di un conoscere (conoscerci) “faccia a faccia”. Siamo lieti, perché Gesù è vicino e accogliendo il povero, il fratello e la sorella, accogliamo Lui e perché, in questo, la soddisfazione non dipende dal risultato, ma dall’incontro. Se il Cristianesimo perde questa ricchezza diventa una dedizione, magari generosa, ma volontaristica».
Così «il giogo si fa pesante, il peso insopportabile e può darsi che, facendo il bene, ne venga un gemito e non un cantico».
Poi, un secondo aspetto: la pienezza, «il compiersi della pienezza dell’umanità che si caratterizza in chi vive nella dedizione e fa il bene. Così si diventa uomini e donne capaci di giungere alla maturità, sperimentando la pienezza di Dio. Per questo siamo lieti, perché pur peccatori, riconosciamo di amare e di ospitare la misericordia e la compassione di Dio, il Suo stesso spirito».
Infine, la terza “radice”. «La pratica della carità predispone al compimento escatologico. Non si tratta di aggiustare un poco la vita, ma di mettersi in cammino verso quell’allora dove il sospiro di questo adesso trova compimento, come dice San Paolo».
Al termine, l’augurio che si fa consegna: «Auguro a tutti i membri della Comunità questo stile: che siate beati e che la vostra gioia contagi la città e la renda serena, perché facendo il bene, incontrate Gesù e diventate più buoni. Che siate beati perché, facendo il bene, siete in cammino verso il Paradiso».

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