Redazione

Il problema della precarietà in età adulta è già da qualche tempo alla ribalta. Pochi giorni fa, il ministro del lavoro Damiano, intervistato sul rapporto tra precarietà e welfare ha indicato tra le categorie bisognose di particolare tutela le donne in età compresa tra i 35 e i 45 anni e gli over 50, investiti in misura crescente dalle dinamiche di precarizzazione del lavoro. E tale prercarietà ha pesanti risvolti negativi anche nella vita familiare. Su questi temi pubblichiamo la parte centrale dell’intervento del prof. Francesco Totaro al convegno della vigilia della Giornata diocesana della solidarietà.

 
di Francesco Totaro
docente di Filosofia e Scienze umane  all’Università di Macerata

Le esigenze di un efficientismo forse male inteso portano oggi a programmare l’obsolescenza dei percorsi personali di lavoro, anche per motivi di presunta convenienza nei costi. Una tale tendenza si scontra d’altra parte con l’insistenza sulla necessità di prolungare l’attività lavorativa delle persone, in considerazione dell’innalzamento delle aspettative di vita e della difficoltà di provvedere al sistema delle pensioni. Si tratta di tendenze tra loro contraddittorie, che sono la spia di veri e propri paradossi nella capacità di valorizzare e gestire armonicamente le fonti della ricchezza, non soltanto sul versante economico  ma anche nei risvolti di civiltà e di cultura autentica della vita.

Infatti, se da un lato ci si apre all’apprezzamento dell’attività della persona oltre i limiti tradizionali, dall’altro si dà spazio a una sorta di "cultura della rottamazione" del patrimonio acquisito, creando un falso contenzioso tra “giovani” e “anziani” e non prevedendo procedure di avvicendamento che non siano preclusive per i primi e punitive per i secondi. In definitiva, "giovani" e "anziani" o "adulti già maturi" rischiano di essere usati come risorse produttive solo strumentali e, quindi, come numeri per un calcolo quantitativo rispondente a interessi immediati. Ma tutto ciò non offre prospettive credibili né di speranza né di sicurezza sociale, aumentando le rispettive fragilità e sottraendo alla convivenza un senso condiviso.

La contrapposizione artificiosa tra giovani in cerca di lavoro e lavoratori maturi che perdono il lavoro alimenta la precarietà complessiva del sistema occupazionale. Infatti non solo la precarietà diventa sempre più lo stato normale per le generazioni più giovani che hanno bisogno di inserirsi nella condizione lavorativa, ma la precarietà si ripresenta come minaccia che incombe al termine di un inserimento che può essere rimesso bruscamente in questione alla soglia della maturità dell’esperienza di lavoro. Nel percorso complessivo dell’esperienza lavorativa, alla pesantezza della precarietà in età giovanile si somma quindi il fantasma incombente della precarietà adulta. L’effetto di insieme è allora quello di esporre il rapporto della persona con il lavoro a una incertezza strutturale e ricorrente che non giova affatto né ai bisogni di un’esistenza normale né alle esigenze ben ponderate della produzione.

Si può rilevare che l’accumulo di precarietà giovanile e di precarietà adulta si ritorce, più in generale, anche sulla esperienza di continuità esistenziale. Si traduce infatti nell’impedimento a formulare piani di vita sia per i singoli individui sia, e ancora di più, sotto l"aspetto delle relazioni interpersonali, specialmente riguardo alla costruzione di legami affettivi che siano in grado di aprirsi a progetti di vita familiare.

La stessa esperienza del tempo, invece di scorrere dal presente verso un futuro che ne possa realizzare le aspirazioni, si contrae forzosamente in un presente che non promette di costruire futuro ma si frammenta in una serie di punti senza connessione. Apparentemente, un percorso esistenziale che gode soltanto del presente può sembrare più libero e meno condizionato. In realtà, un presente che non riesce a vedere la sua proiezione nel futuro è destinato a immergersi in una disperazione sotterranea, quella disperazione che non potrebbe non riemergere dolorosamente qualora, in età più adulta, si arrivasse a soffrire il trauma della perdita del lavoro con il timore della sua irreparabilità.

La questione della tutela del lavoro in età adulta diventa allora un problema di tutela dell’intera esperienza di lavoro e di vita. Diventa cioè un problema di senso che tocca tutti e chiunque. La posta in gioco è la possibilità della persona di progettare e realizzare la propria dignità nell’intero arco di vita, senza la negativa certezza e la patologica insicurezza di traumi continuamente in agguato

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