Nella I domenica di Quaresima, in Duomo, l’Arcivescovo ha presieduto la Celebrazione eucaristica con il Rito dell’imposizione delle ceneri. «Affrontiamo seriamente i giorni che ci aspettano con carità, preghiera e silenzio»
di Annamaria
Braccini
La Quaresima che è un pellegrinaggio verso la Pasqua, «non un percorso che chiama a esibire prestazioni eroiche e opere grandiose». Quaresima come tempo di Grazia e di conversione: tempo di speranza.In un Duomo gelido e affollato, monsignor Delpini presiede la Celebrazione eucaristica, appunto, nella I domenica di Quaresima e il suo è un invito ad aprirsi con fiducia, «ad accogliere la grazia che rende possibile la trasfigurazione della morte nella vita». E questo anche se i tanti drammi della storia umana fanno nascere il gemito e la rabbia nel cuore, come suggerisce la lettura del profeta Isaia.
«C’è il tormento che fa gemere perché è troppo il male, è troppo il soffrire: quando la carne è invasa da un male che è troppo male, quando la casa e i rapporti più cari sono travolti da una cattiveria che è troppo cattiva, quando sul paese amato e sul popolo che è il mio popolo si abbatte una tragedia che è troppo tragica. Sento il gemito e lo strazio del troppo soffrire».
Un dolore che è anche sospiro per quell’“incompiuto” che è quasi sempre la nostra vita: «L’incompiuto degli affetti, di quell’amore che non è mai abbastanza amore, di quel curarsi della gioia delle persone amate che non è mai abbastanza per dare gioia, di quella vita che non è abbastanza vita. Chi ascolta il gemito e il sospiro sente crescere in sé una rabbia, una esasperazione».
Ma non è il diluvio o il fulmine che sommergono e distruggono a dare soluzione, è, al contrario, la convinzione di un Dio, che non abbandona mai, a dare speranza. «L’Alto e l’Eccelso, il Dio Altissimo, non sta in un cielo inaccessibile, non si è estraniato in un’ indifferenza imperturbabile. È coinvolto nella vicenda dei suoi figli, è appassionato e prova tristezza per chi se ne è andato per le strade del suo cuore, condivide la sorte degli oppressi e degli umiliati. Dio vuole salvare, si rivela salvatore e redentore, indica le vie della salvezza e chiama a vivere il tempo come un pellegrinaggio verso la terra promessa. Il tempo di grazia in cui Dio sta con gli oppressi e gli umiliati, è il tempo in cui la vita può assorbire la morte».
Dalla Lettura della seconda Lettera ai Corinzi, la sottolineatura di Delpini è rivolta all’indicazione paolina di una fede piena di fiducia. Questo, un primo modo di arrendersi alla grazia.
«I credenti introducono nella storia umana la fiducia come forza del cammino, come stile di vita, come una luce che consente di vedere tutto il racconto della storia umana. Siamo pieni di fiducia: è un modo di guardare ai compagni di cammino, di affrontare le complicazioni della vita, di considerare la complessità e la fragilità delle Istituzioni, il loro gravare e il loro servire. La fiducia non è un’ingenuità, ma la persuasione che, con la presenza di Dio, tutto è possibile, anche trarre il bene dal male, anche sanare le ferite, anche ricostruire i rapporti frantumati».
E, poi, quel secondo modo: affrontare la lotta, «condotti dallo Spirito nel deserto per essere tentati dal diavolo», come narra il Vangelo di Matteo.
«I credenti accolgono la grazia rendendosi disponibili alla lotta, non si meravigliano della tentazione, sono abbastanza realisti da sapere che il male si presenta come più promettente del bene, che adorare il principe di questo mondo, e allearsi con le potenze mondane, può essere più rassicurante che fidarsi di Dio. I credenti lo sanno e non si lasciano ingannare da quello che sembra. Ecco ciò che ci raccomanda questo inizio di Quaresima essere pieni di fiducia e pronti ad affrontare la tentazione con la fortezza che Dio genera in noi».
Poi, a conclusione della Celebrazione, il Rito dell’Imposizione delle ceneri, benedette dall’Arcivescovo, poste dapprima sul suo capo dal penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor Fausto Gilardi e, attraverso le mani dei Concelebranti, sui fedeli.