L’Arcivescovo ha presieduto il Pontificale dell’Epifania in Duomo. In una nostra videointervista a margine, il bilancio della visita in Camerun, gli auguri alle Comunità di Rito orientale e l’esercizio della responsabilità politica
di Annamaria
Braccini
«Sperimentare l’attrattiva che riempie di gioia, il realismo che impegna nel quotidiano e l’inquietudine che spinge sempre oltre, sempre in cammino, sempre in ricerca del Figlio di Dio che si è fatto figlio dell’uomo».
È questo lo stile con cui l’Arcivescovo chiede, in Duomo, di vivere l’Epifania che è «dono e vocazione». Presiedendo, infatti, il Pontificale solenne del 6 gennaio, concelebrato dai Canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale, il vescovo Mario annoda la sua omelia sulle 3 letture che definiscono con chiarezza, in altrettanti modi, «l’accoglienza della salvezza di Dio, la sua manifestazione al mondo».
In apertura della Messa, il pensiero è subito per Joseph Ratzinger. «Essendo in viaggio di ritorno dalla mia visita ai nostri missionari Fidei donum in Camerum (un bilancio del viaggio nella videointervista), non ho potuto partecipare ai funerali», spiega, «ma desidero in questa celebrazione, ricordare Benedetto con particolare intensità con tanto affetto, gratitudine, comunione di preghiera».
«Invito tutti a pregare insieme», aggiunge l’Arcivescovo che dà notizia anche della scomparsa del vescovo Gervasio Gestori, 86 anni ambrosiano di nascita, vescovo emerito di San Benedetto del Tronto spentosi nella città marchigiana.
Dalle letture – del profeta Isaia, della Lettera paolina a Tito e del Vangelo di Matteo 2 con la venuta dei Magi da Oriente per adorare il Bambino – prende avvio l’omelia, dopo il tradizionale annuncio della data della Pasqua 2023 che verrà celebrata il 9 aprile prossimo.
L’attrattiva entusiasmante
«Il profeta consola il popolo di Dio con la visione gloriosa di una grande speranza che si compie per la diaspora che si risolve in un ritorno festoso del popolo disperso. Le immagini del profeta raccontano anche della nostra storia: anche noi conosciamo l’esultanza, desideriamo gli incontri festosi, i momenti del convenire che esaltano le emozioni nel cantico, nella danza», anche se – riconosce il vescovo Mario – «tra gli atteggiamenti diffusi nelle nostre comunità sembrano prevalere il malumore e il lamento invece della gioia».
Al contrario, la manifestazione della gloria di Dio nell’umanità di Gesù può suscitare in noi «quell’attrattiva entusiasmante che rende possibile fare festa e vivere anche le celebrazioni liturgiche tornando a casa contenti e desiderosi di irradiare la gioia», così come indicano, del resto, tutte le espressioni liturgiche del periodo natalizio. (l’augurio dell’Arcivescovo per il Natale delle Comunità di Rito orientale presenti in Diocesi nella videointervista)
Chiamati a edificare l’umanesimo cristiano
Poi, «il realismo della responsabilità per il mondo» per «uomini e donne chiamati ad abitare con serietà il quotidiano, a farsi carico di tutti gli aspetti della vita umana, con senso di responsabilità». «Ogni situazione di vita ha le sue complicazioni e le sue fatiche: non è però una buona ragione per sognare di abitare un’altra storia e un altro mondo. È qui, con questa gente, con questa storia, con queste situazioni che siamo chiamati a edificare un umanesimo cristiano: vivere in una pace operosa e costruttiva».
Chiarissimo il monito. «Il realismo della responsabilità induce a vivere anche il rapporto con il potere costituito e con la realtà politica in modo costruttivo. I discepoli in Cristo sono cittadini leali con le istituzioni, se ne fanno carico per il bene comune, perché la vita di tutti possa procedere nella pace. Il realismo della responsabilità è frutto della rivelazione di Dio in Gesù Cristo». (La responsabilità in vista delle elezioni amministrative lombarde nella videointervista)
L’inquietudine
Infine, sull’esempio dei Magi che si mettono in cammino con speranza e senza arrendersi alle difficoltà, il richiamo dell’Arcivescovo è all’inquietudine.
«Il potere che si impone e diventa tirannide, il pensiero che si è spento e diventa ideologia, l’attesa che si è stancata e diventa sistemazione senza speranza, sono scossi dall’irrompere della gloria di Dio», come testimonia il turbamento di Erode. «La rivelazione del mistero di Dio è sempre anche una inquietudine, una contestazione della sistemazione inerte, dell’occupazione del potere con l’arroganza del prepotente. L’inquietudine motiva a mettersi in cammino, ad appassionarsi alla ricerca, ad essere disponibili per l’inesauribile sovrabbondanza della rivelazione antica».
Per questo, «coloro che sono visitati dal segno sono avvolti dalla gloria e ricolmati di gioia. Sono lieti, ma non soddisfatti. Sono contenti di sé e insieme sempre umilmente docili alla parola che chiama a conversione. Abitano la terra e riconoscono di avere molto ricevuto, ma insieme attendono un compimento per il quale la terra non può bastare. Amano i fratelli e le sorelle con cui vivono e stabiliscono relazioni personali pieni di dedizione e si aspettano molto gli uni dagli altri, ma insieme avvertono un bisogno d’amore e di verità per il quale nessun essere mortale può essere adeguato».
A conclusione della Messa il riferimento del vescovo Mario è ancora per la sua visita in Camerum. «In questa festa desideriamo sentirci tutti Chiesa dalle genti, Chiesa cattolica. Voglio condividere con voi i saluti e l’augurio delle Chiese del Camerum dove ho incontrato assemblee di fedeli pieni di gioia, Vescovi pieni di gratitudine per ciò che la nostra Diocesi può fare per loro. Che questo mistero dell’Epifania doni luce ai nostri pensieri, ai nostri cuori, renda liete le nostre famiglie e comunità, ispiri il desiderio della ricerca del Signore».