Don Medeghini e don Argiolu sono originari della stessa parrocchia, hanno frequentato le stesse scuole (anche se con due anni di differenza) e sono cresciuti nello stesso gruppo giovani. Ora entrambi diventano sacerdoti
di Ylenia
Spinelli
Don Enrico Medeghini e don Mattia Argiolu si conoscono sin da piccoli, anzi da piccolissimi. Originari della stessa parrocchia, San Gioachimo, a pochi passi dal centro di Milano, hanno frequentato l’asilo insieme dalle suore di Maria Bambina. «Eravamo nei “rossi” (colore della classe, ndr) con suor Carla» ricorda ancora Enrico.
Poi, sempre nel medesimo istituto, hanno fatto le elementari e le medie. Non nella stessa classe, perché hanno due anni di differenza, ma rimanendo sempre amici. Le loro strade si sono apparentemente separate alle superiori, perché don Enrico ha scelto il liceo classico Zaccaria dei padri Barnabiti, mentre don Mattia è rimasto all’istituto Maria Immacolata a frequentare il liceo scientifico. «La nostra amicizia però si è consolidata grazie al gruppo giovani della parrocchia, trainato da don Andrea Cumin», spiegano.
Il ruolo della comunità
La comunità ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita dei due ragazzi, da un punto di vista umano e spirituale. Mattia ha frequentato tanto l’oratorio e ha fatto il cerimoniere, mentre Enrico – «più bravo con le parole che con i gesti liturgici», come lui stesso ci tiene a precisare – si è impegnato per anni come catechista.
«Il nostro era un bel gruppo giovani – racconta don Mattia -. Noi due non amavamo troppo i campeggi o le passeggiate in montagna, ma ci piaceva trovarci al giovedì sera per l’adorazione eucaristica e la cena insieme, seguita dalla discussione guidata da don Andrea sul “caso morale” della settimana in cui si toccavano diversi argomenti di attualità».
Tante vocazioni
«Nel nostro gruppo sono nate tante vocazioni, compresa la nostra al sacerdozio – afferma don Enrico – ed è significativo che, il giorno dell’ordinazione, due giovani del nostro gruppo si sposeranno e poi verranno alla nostra prima Messa». Segno che all’interno di una comunità una vocazione sostiene l’altra, perché si cresce insieme, si cercano risposte alle stesse domande che nascono nel cuore. E allora non è così strano che dall’asilo ci si ritrovi, dopo tanti anni, ancora insieme sull’altare, alla sequela del Signore.
Ripensando al proprio percorso verso il sacerdozio, don Mattia dice: «Tra il 2013 e il 2015 il gruppo giovani della parrocchia ha avuto un ruolo fondamentale nella mia crescita umana e vocazionale. Lo sprint in più lo ha dato Enrico, con il quale mi sono confrontato quando ho sentito nascere in me le stesse sue domande. Enrico mi ha parlato del cammino dei “Non residenti”, che poi ho frequentato anche io prima di entrare in Seminario, un anno dopo di lui, nel 2016». Enrico si è fermato al termine della quinta teologia per il tirocinio pastorale, così si è ritrovato nella stessa classe di Mattia e insieme verranno ordinati sabato prossimo in Duomo.
Mettersi in gioco
Il futuro non li spaventa. «Ogni periodo storico ha avuto le sue problematiche – commenta don Mattia – questa è un’epoca di travaglio, per dirla con il cardinale Scola, e dal travaglio nasce sempre qualcosa di nuovo». Sulla stessa frequenza è don Enrico che aggiunge: «Al di là delle problematiche delle comunità in cui saremo chiamati a svolgere il nostro ministero, se coltiveremo la nostra amicizia con Gesù, se saremo preti felici, tutto il resto fiorirà da sé». E don Mattia: «L’esperienza del fallimento fa parte della vita del prete, ma aiuta ad approfondire il proprio rapporto con il Signore. Dovremo saperci rimettere in gioco, dialogare con la gente, ascoltarla, senza sentirci preti al di fuori o sopra la Chiesa, perché c’è una paternità che nasce dall’essere figli e un apostolato che nasce dall’essere discepoli».
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