Rocco Festa, vicepresidente della Cooperativa Farsi Prossimo di Caritas ambrosiana, riflette sull’emergenza al centro del convegno del 5 luglio a Milano: «Sempre più difficile trovare qualcuno da assumere»
di Stefania
Cecchetti
Turni che ruotano sulle 24 ore, 365 giorni l’anno. Stipendi che non superano i 1300 euro al mese. A queste condizioni, valli a trovare dei giovani disposti a fare gli educatori, al netto di tutte le riflessioni che si vanno moltiplicando sulla “generazione degli sfaticati”.
Rocco Festa è direttore delle aree operative e vicepresidente della Cooperativa Farsi Prossimo, promossa da Caritas ambrosiana e attiva principalmente nel campo dell’accoglienza dei rifugiati, delle donne vittime di tratta e maltrattamento, dei senza fissa dimora e dei minori. Festa ci racconta com’è la crisi del mercato del lavoro educativo vista da dentro: «Possiamo senza dubbio parlare di emergenza – dice -. Se fino a un anno fa alla pubblicazione di un annuncio nell’arco di poche ore ricevevo centinaia di curricula, oggi gli educatori che rispondono si possono contare sulle dita di una mano».
Precarietà accentuata
Cos’è cambiato? «È una combinazione di vari fattori – spiega Festa -. Uno è l’accentuarsi delle condizioni di precarietà. Il rapporto tra le pubbliche amministrazioni e il terzo settore si basa su contratti per l’erogazione di servizi che si vanno sempre di più frazionando: se prima lavoravamo con bandi triennali, oggi abbiamo contratti molto più brevi, che non consentono di stabilizzare le persone. Un altro problema è che i bandi delle pubbliche amministrazioni non hanno recepito i rinnovi contrattuali del terzo settore. Le rette giornaliere che noi enti del terzo settore percepiamo per l’accoglienza di un minore o di un rifugiato in una comunità non sono aumentate, come possiamo far fronte ai pur piccoli aumenti di stipendio degli educatori previsti?». Si spiega così la recente rinuncia di una ventina di enti all’accreditamento con il Comune di Milano per la gestione di comunità residenziali per minori o comunità mamma-bambino, che lascia oltre 500 posti vacanti. Il documento proposto da Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) e Forum del Terzo settore, in cui si spiegano le ragioni, è stato firmato anche dalla cooperativa Farsi Prossimo.
Ci vuole la laurea
Una ulteriore causa della carenza di personale educativo ha radici lontane, nella legge 205/2017, meglio nota come Legge Iori, che ha ridefinito le condizioni per svolgere la professione di educatore professionale in ambito socio-pedagogico: «Oggi è possibile diventare educatore esclusivamente a seguito della Laurea in Scienze dell’educazione, mentre prima si accedeva alla professione anche attraverso altri percorsi formativi, come le scuole regionali per educatori professionali. Tutta una fetta di professionisti da un giorno all’altro si è ritrovata con in mano un titolo non più riconosciuto. Situazione a cui recentemente ha tentato di ovviare Regione Lombardia, con la delibera 6443 del 31/5/22 che ha ampliato la possibilità di accreditare nelle strutture socio educative anche figure professionali diverse, come psicologi e assistenti sociali». Una misura che, però, ha l’aria di essere la pezza su una coperta che rimane troppo corta: «Chiediamo giustamente una preparazione universitaria per una professione delicata e strategica – conclude Festa -: è un lavoro usurante, di continuo contatto con problematiche importanti e di confronto con il disagio. Eppure la retribuzione è fra le più basse nell’ambito delle professioni a cui si accede per laurea. Non mi stupisce che ai colloqui i candidati mi dicano di preferire trovare impiego come commessi. Un lavoro altrettanto poco pagato, ma con orari più ortodossi e minori responsabilità».
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