Lo stile degli Istituti secolari spinge a rimettere al centro una spiritualità incarnata, per abitare i luoghi del bene presente
di Barbara
PANDOLFI
Docente presso l’ISSR di Pisa, relatrice al Convegno “Fedeli e creativi”
Guardate i gigli del campo e gli uccelli del cielo…; osservate il lievito che una donna impasta…; vedrete il Regno di Dio che è già in atto, e che, silenziosamente e misteriosamente, tende alla pienezza. Così Gesù contempla il mondo e lo indica come parabola e segno del Regno che è venuto a realizzare.
Per tutto questo non possiamo allontanarci dalle cose della terra; è, infatti, nella vita del mondo che ci è svelato il Regno. Ancora di più: nel vangelo sembra proprio che Dio ci suggerisca l’idea che egli trasformerà le cose dall’interno, dal cuore del mondo, piuttosto che attraverso interventi dall’alto. Il Regno cresce e si sviluppa nel dinamismo della storia, nel divenire mutevole degli eventi, nelle profondità del cuore dell’uomo. La vita è dinamica, sempre nuova, mai rigida o ripetitiva, capace di sorprendere e stupire, di proporre prospettive nuove, di offrire risorse inedite, di riparare gli errori. Proprio per questo la vita e la storia destabilizzano continuamente e richiedono di ricercare sempre nuovi equilibri, cosicché ogni fedeltà non può mai essere fossilità, staticità. Anzi si potrebbe dire che la fedeltà sia questione più di futuro che di passato.
A distanza di settanta anni dalla Provida Mater, è questa l’esperienza vissuta all’interno dei diversi Istituti secolari e testimoniata oggi nella Chiesa come modalità specifica di vivere l’unica sequela del Signore. Gli Istituti secolari spingono, fin dalla loro origine, a rimettere al centro una spiritualità incarnata, che prende sul serio il mondo non tanto per occupare spazi, ma per cogliervi i germi del Regno, per generare processi insieme a tutti, per fare anche del cambiamento un elemento costitutivo della loro spiritualità, dove la coscienza diventi il luogo dell’ascolto di Dio, nella ricerca responsabile di «soluzioni anche solo probabili» (Paolo VI). Uno stile di vita che tenta di abitare non tanto i luoghi del sacro, ma quelli del bene presente e della santità, che sconfinano spesso fino a debordare, sovente, dagli schemi precostituiti del “noi e loro”.
Se per paura di contaminarci abbiamo perso molte volte il contatto essenziale con la vita e la storia, la Parola ci ricorda che l’esperienza e la spiritualità cristiana hanno una profonda pertinenza con tutto ciò che è umano, perché Dio ha condiviso la nostra umanità dal di dentro, fino in fondo e ciò vuole è la felicità dell’uomo, la pienezza di tutto l’essere umano.